Caro benzina e italiani, un rapporto fisso come quello con il mattone. Infatti alla vigilia di ogni ponte e di ogni periodo di vacanza, estivo o invernale che sia, l’enorme popolo degli automobilisti deve fare i conti, nel vero senso della parola, con il costo del carburante. Conti che non sempre tornano soprattutto se ci si basa sul (troppo) semplicistico calcolo fatto osservando l’andamento del petrolio.
Questo perché, come tutti sanno, il prezzo alla pompa è deciso, per la maggior parte della cifra, dal peso sempre ondivago delle accise, ovvero l’imposta indiretta che grava su un prodotto, in questo caso, il carburante. Ed è proprio su questa voce che si alzano le dolenti note. Infatti, stando a quanto reso noto dal Codacons qualche tempo fa, le accise sulla benzina sono aumentate del 35% negli ultimi 25 anni. Tanto, ma non quanto, invece, sono aumentate quelle sul gasolio arrivate a toccare quasi il 63%. Numeri alla mano si parla, per la benzina, di un livello di 0,527 del 2000 diventato col tempo 0,713 euro al litro pari a +35,3%. Parallelamente l’imposta sul gasolio è passata, sempre negli ultimi 25 anni, da 0,388 a 0,632 euro al litro, ovvero +62,8%.
Un peso, quello delle accise, che zavorra non solo il mercato ma soprattutto le tasche degli automobilisti già alle prese con costi sempre più alti sul fronte mantenimento e manutenzione auto. Secondo i dati di URAE (Unione Rappresentanti Autoveicoli Esteri) in Italia circolano oltre 17milioni di auto alimentate a benzina rappresentanti il 42% del totale delle vetture circolati. Il diesel chiama in causa circa 16milioni e 600mila auto pari a quasi il 41% del totale.
Il cosiddetto riallineamento delle accise tra benzina e gasolio avrebbe dovuto avere il compito di riequilibrare un settore che anche per gli addetti ai lavori rappresenta un ginepraio. La dimostrazione arriva dal fatto che il processo non sarà completato prima dei 5 anni dal momento che deve riordinare progressivamente decenni di rialzi.
Stando però ai dati resi noti dal Codacons il riallineamento delle accise di 1,5 centesimi al litro costerà in totale 364,5 milioni di euro all’anno per il popolo delle auto a gasolio (poco più di 0,915 euro IVA incusa, a vettura. Discorso più vantaggioso, invece, per le circa 17 milioni di vetture a benzina che potrebbero contare su un risparmio complessivo annuo di 374,5 milioni di euro. Sullo sfondo di questa operazione di riordino resterebbe la strategia, voluta dal governo, di dirottare le risorse verso il potenziamento del trasporto pubblico anche in seguito ad una più ampia riforma fiscale che però, allo stato attuale dei conti e dei fatti, appare anche lunga e irta di ostacoli.
Lunga è la storia delle accise, molte delle quali hanno resistito nel tempo come, ad esempio, quelle destinato al finanziamento della guerra d’Etiopia (1935-1936) o della crisi di Suez del 1956. Non mancano quelle legate ai disastri naturali: ricostruzione Vajont del 1963, alluvione di Firenze del 1966, terremoto del Belice del 1968, del Friuli del 1976, dell’Irpinia del 1980 e de L’Aquila del 2009. Ci sono poi quelle legate a questioni “contrattuali” come quella del 2004 legata al rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri o quelle “politiche” come il finanziamento del decreto “Salva Italia” del 2011 o di alcune voci del decreto Fare “Nuova Sabatini” nel 2014. Nel 1995, però, con il governo di Lamberto Dini, le accise furono unite in un’unica tassa divenuta, poi, strutturale nel 2013 con la Legge di Stabilità del governo guidato da Enrico Letta. Cosa significa questo? L’accorpamento di tutti i provvedimenti in un’unica tassa indistinta renderebbe difficile, se non impossibile, scorporare quelle ormai inutili ed obsolete. Non solo, perché cancellarle tutte creerebbe un enorme squilibrio nei conti statali.