Meno convinte le donne rispetto agli uomini
L’epidemia di Covid-19 ed il lockdown hanno fatto impennare lo smart working, adottato prima dell’emergenza da un esiguo numero di 500 mila persone ed arrivato a circa 8 milioni di lavoratori durante il periodo del distanziamento sociale. E’ quanto emerge dall’indagine Quando lavorare da casa è… smart, promossa dall’area politiche di genere della Cgil e realizzata insieme alla Fondazione Di Vittorio.
Dallo studio emerge che più della metà degli italiani, ben il 60%, ama lo smart working e vorrebbe continuare con questa modalità anche finita l’emergenza mentre solo una piccola parte (il 22%) desidererebbe tornare alla normalità del lavoro in ufficio ed il 18% si dice invece indeciso.
Molti sono concordi nell’affermare che lo smart working fa risparmiare tempo, soprattutto nel tragitto casa-lavoro, e per molti è uno strumento di grande flessibilità che consente di conciliare meglio lavoro e tempo libero. Ma c’è anche chi lo guarda con sospetto e ritiene che aumenti i carichi familiari (71%) e non offra occasioni di confronto e di scambio con i colleghi. Le meno convinte sono le donne rispetto agli uomini.
“Quello sperimentato durante l’emergenza – ha ricordato la Cgil – non è lo Smart working ex Legge n.81/2017, una modalità di lavoro senza vincoli spazio temporali ma organizzata per fasi, cicli e obiettivi, né Telelavoro, più rigido soprattutto su luoghi della prestazione e orari, ma nella maggior parte dei casi il mero trasferimento a casa dell’attività svolta fino a qualche giorno prima in ufficio. Si tratta, in pratica, di un home working”.
L’82% degli intervistati ha cominciato a lavorare da casa con l’emergenza, di questi il 31,5% avrebbe desiderato farlo anche prima ma di fatto solo il 18% ha cominciato prima della pandemia e l’8% ha dichiarato che è stata una sua iniziativa.
di: Maria Lucia PANUCCI
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