
Il presidente di Confindustria, intervistato da La Stampa, non usa mezzi termini. E al nuovo governo chiede “decisioni importanti dal giorno uno”
«Il momento è grave, se cade l’industria cade il Paese, chiudono le imprese e si perde lavoro. Noi siamo pronti a rilanciare il confronto sull’economia ma è essenziale lo spirito giusto che porti tutti a sedersi intorno a un tavolo per trovare le migliori soluzioni. Per Confindustria non è un problema, abbiamo parlato di un Patto per l’Italia lo scorso anno, ma c’è chi si è chiamato fuori».
Lo afferma il presidente di Confindustria Carlo Bonomi in un’intervista alla Stampa indicando come necessità quella di fermare i prezzi dell’energia. Servono 40-50 miliardi, calcola il rappresentante degli imprenditori, che «si possono trovare nei mille e rotti miliardi di spesa pubblica”. In alternativa, “uno scostamento di bilancio potrebbe dimostrarsi inevitabile».
Sul prossimo esecutivo, Bonomi osserva che «il nuovo governo dovrà prendere decisioni importanti a partire dal giorno uno. Servono persone competenti, il che non esclude affatto i politici. Non c’è alcuna diffidenza nei confronti dei partiti, ma i ministri dovranno conoscere bene la macchina pubblica e i dossier. L’emergenza attuale non consente di perder tempo. Tecnici o politici vanno bene, purché sappiano cosa fare».
Dal governo nei primi cento giorni si attende «un intervento sull’energia, anzitutto. È una questione complessa perché scontiamo decenni di errori e scelte sbagliate. Non ci si salva con la bacchetta magica».
Quanto agli extraprofitti come fonte per finanziare i sussidi energetici Bonomi spiega di essere «favorevole al principio della solidarietà, ma qui c’è stato un doppio errore. La base normativa dell’imposta è sbagliata, l’imponibile presunto non si calcola sulle dichiarazioni periodiche Iva. Infatti, il gettito non è arrivato e sentiremo parlare dei ricorsi per anni. Inoltre, la tassa è stata estesa a imprese energetiche che non operano su acquisti e import di gas. Di qui i contenziosi e il basso incasso pubblico. Sarebbe stato più facile applicare le addizionali Ires, solo nei settori necessari. Non è successo».
«Il nuovo governo – conclude – non eredita una legge delega di riforma fiscale, è stata affossata prima del voto. Dunque, ha ampio spazio per delineare un disegno organico del fisco come leva di competitività e inclusione sociale e non solo finalizzato al gettito. Non servono interventi-bonus sull’Irpef. Siamo stati i primi a proporre un’Ires che premi le imprese che reinvestono gli utili e che veda l’aliquota invece salire quanto più gli utili vengono ridistribuiti».