
Le app di networking permettono di monitorare il lavoro, ma hanno parecchi rischi (anche etici)
Il romanzo di Orwell “1984” potrebbe non essere così lontano dalla realtà. Il principale di ciascuno di noi infatti ha accesso a dati sufficienti sulle nostre attività digitali per ottenere una esatta fotografia della nostra giornata lavorativa, senza per questo utilizzare particolare software o competenze. Lo scrive in un articolo il Washington Post secondo cui “le app connesse alla rete comunemente utilizzate come Zoom, Slack e Microsoft Office offrono ai manager la possibilità di trovare qualsiasi cosa, dal numero di riunioni video a cui hai partecipato attivamente, a quanto hai chattato online con i colleghi e al numero di documenti hai salvato nel cloud”. Il problema non è tanto la violazione della privacy, o meglio, non solo. Il punto è: quanto questi dati offrono una panoramica reale della produttività di un lavoratore? Secondo gli esperti di privacy e lavoro, un altro nodo che emerge è che troppo spesso questi dati sono considerati come valori assoluti, mentre rappresentano “solo una minima parte nell’ambito di un quadro più ampio della produttività dei dipendenti”.
Il boom a questa tendenza al controllo da parte dei datori di lavoro è scoppiato con la pandemia, quando il ricorso forzato allo smart working ha reso difficile per i manager controllare l’effettivo impegno dei propri dipendenti; così molti hanno cercato nuovi modi per gestire e garantire la produttività, ad esempio rivolgendosi a software di sorveglianza. All’inizio del 2022 infatti, secondo la società di sicurezza Internet e diritti digitali Top10VPN “la domanda globale di software per il monitoraggio dei dipendenti è aumentata del 65% rispetto al 2019“.
Si tratta però di una fotografia estremamente limitata, come spiega al redattore del Washington Post Brian Elliott, vicepresidente senior di Slack e leader esecutivo del consorzio guidato da Slack con focus sul futuro del lavoro “Misurare la produttività in base ad attività di superficie come i ‘messaggi inviati’ ci offre una visione straordinariamente limitata dei contributi di una persona alla propria organizzazione”, oltre ad essere, sempre secondo Elliott “non solo è arbitrario, di solito è pure controproducente”. Attività per esempio come il tutoraggio della persona, il tempo per fare brainstorming, l’abbozzo di un piano o l’utilizzo di software offline non vengono visualizzate nei dati. In generale, una mentalità imprenditoriale che privilegia la quantità di lavoro contro la qualità non sembra produttiva né per le aziende, né per i lavoratori. Sembra in generale che il ricorso a questa pratica sia sperimentale e senza grande trasparenza. Una tendenza insomma, con parecchie ombre.