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Economia

Sempre più inglesi si pentono di aver scelto la Brexit. Le conseguenze di un tornado non solo economico

Rossana Prezioso
11 Maggio 2024
Sempre più inglesi si pentono di aver scelto la Brexit. Le conseguenze di un tornado non solo economico
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Dal mondo del lavoro al settore delle catene di distribuzione ed approvvigionamento, senza dimenticare i rami di finanza ed economia. Tante (troppe?) le conseguenze della Brexit

Dal 31 gennaio 2020 il Regno Unito non fa più parte dell’Unione europea conseguenza diretta di quel referendum che, nel 2016, decretò il divorzio dall’Europa. Ma a 4 anni dall’addio le statistiche dicono che 9 inglesi su 10 si sono pentiti della scelta. Quali sono i motivi che hanno portato la stragrande maggioranza della popolazione a cambiare idea? E quali sono le conseguenze che, da quel giorno, si stanno abbattendo sull’economia e sulla società anglosassone? A rispondere è Ben Laidler, Global markets strategist di eToro.

Secondo uno studio di Goldman Sachs il Regno Unito ha perso 5 punti di Pil dopo il referendum del 2016 che ha sancito, a sorpresa, l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Dopo 4 anni è possibile fare un primo bilancio per capire quali sono stati i costi effettivi che il Regno Unito ha dovuto pagare, in termini di perdite economiche? E quali settori sono stati penalizzati maggiormente?

«L’impatto macroeconomico della Brexit sull’economia del Regno Unito è una questione molto controversa, che non si conoscerà nella sua interezza almeno prima di decenni. Stando ai dati attuali, le stime più accurate vedono l’economia del Regno Unito più piccola di circa il 2-3% rispetto a quanto sarebbe stata se la Brexit non fosse avvenuta. Si tratta di una cifra significativa, equivalente a circa 80 miliardi di dollari o, semplicisticamente, a 1.100 sterline a persona. A livello settoriale, la Brexit ha colpito in modo sproporzionato il comparto manifatturiero e le imprese più piccole, che, secondo le stime, impiegano il 59% della forza lavoro. Il settore manifatturiero è stato tagliato fuori dal suo principale partner commerciale, con le barriere tariffarie e non che hanno ulteriormente ridotto il peso del comparto nel paniere economico del Paese a meno del 10%. Le piccole imprese, invece, hanno avuto meno flessibilità e risorse per adattarsi a questo shock commerciale, e ciò ha contribuito a far scendere i loro numeri ai minimi di sei anni».

Gli strascichi di un divorzio burrascoso (anche a livello normativo e politico) si stanno facendo sentire ancora adesso soprattutto sul settore del lavoro con carenza di personale. È possibile fare un quadro della situazione e capire cosa sta succedendo?

«Il regime migratorio post-Brexit è stato drammaticamente diverso da quanto immaginato. Mentre il Regno Unito ha inasprito le regole di migrazione con l’Europa, le ha allentate con altre parti del mondo. Di conseguenza, è aumentato soprattutto il numero di studenti internazionali, probabilmente attratti dal sistema universitario di punta del Paese. L’Osservatorio sulle migrazioni dell’Università di Oxford calcola che l’immigrazione netta nel Regno Unito è raddoppiata rispetto alla media annuale di 300.000 persone prima della Brexit. Mentre l’Office of Budget Responsibility del Regno Unito ha aumentato le sue previsioni a medio termine per la migrazione netta del 150%, passando da una previsione iniziale di 129.000 a quella attuale di 315.000 unità. L’aumento dell’immigrazione è stato determinato dall’estrema rigidità del mercato del lavoro nel Regno Unito, che vanta un tasso di disoccupazione di appena il 4,2%, quasi il più basso degli ultimi cinquant’anni e di circa un terzo inferiore a quello dell’Unione Europea. I salari mensili del Regno Unito sono inoltre più alti di quasi 900 sterline al mese, a 2.700 sterline».

Dal 30 aprile tutti i prodotti freschi provenienti dall’Unione europea devono essere ispezionati. In molti temono ritardi nelle consegne, carenza di rifornimenti nei supermercati e, in ultima analisi, aumento dei prezzi. Questo, però, è solo l’ultimo episodio di una serie di difficoltà nella catena degli approvvigionamenti. Quali sono i rischi nel medio periodo per i consumatori? Quali sono stati gli impatti sul fronte dell’inflazione per l’economia inglese?

«Il costo complessivo per il consumatore medio del Regno Unito è stato significativo. Non solo il Pil pro capite del Paese è inferiore di circa 1.100 sterline rispetto a quello che sarebbe stato senza la Brexit, ma le distorsioni economiche dovute alla Brexit sono state proprio uno degli ingredienti che hanno contribuito a far sì che il Regno Unito abbia avuto la peggiore inflazione di qualsiasi altra grande economia globale. Con un picco di oltre l’11% nel 2022, l’inflazione è ancora in ritardo rispetto a tutti gli altri paesi dell’economia globale. Questo significa che, nonostante l’economia sia entrata in una lieve recessione tecnica lo scorso anno, la Banca d’Inghilterra non possa intraprendere la strada verso un allentamento della presa. La BoE sarà una delle ultime grandi banche centrali mondiali a poter tagliare i tassi d’interesse nel corso di quest’anno».

Quali sono state le conseguenze del divorzio di Londra dall’UE per la sterlina?

«L’impatto iniziale della Brexit sulla sterlina è stato drammaticamente negativo: la sterlina è scesa del 15% rispetto all’euro e si è avvicinata alla parità con il dollaro USA nei cinque anni successivi al voto del 2016. Il timore era che le frizioni commerciali avrebbero danneggiato l’economia e che gli investitori globali avrebbero avuto meno motivi per possedere asset del Regno Unito o la sua valuta. Negli ultimi anni, però, la sterlina ha registrato una performance migliore, poiché le cattive notizie sulle conseguenze economiche della Brexit erano già state scontate. Inoltre, nel Regno Unito si è verificata una fase di stagflazione che ha visto la banca centrale alzare i tassi di interesse prima e più rapidamente della maggior parte delle altre regioni. Questo drammatico ampliamento dei differenziali dei tassi di interesse a favore del Regno Unito ha aiutato ad attirare capitali e sostenuto la sterlina, rendendola una delle poche valute globali in grado di tenere il passo con il rally del dollaro USA degli ultimi anni».

La Gran Bretagna, dopo la Brexit, può vantare ancora il suo ruolo di protagonista nella finanza internazionale?

«L’impatto in alcune aree dell’economia britannica non è stato così grave. Il tanto temuto colpo al settore bancario britannico, per l’appunto, non è stato finora così grave come si temeva. Le esportazioni di servizi finanziari del Regno Unito verso l’UE sono diminuite di circa il 15%, ma in parte sono state compensate dall’apporto di altre regioni. Ciò ha contribuito a mantenere il settore a oltre l’8% del PIL. Detto ciò, una conseguenza significativa della Brexit è stata un taglio dei flussi di investimento verso il Regno Unito stimato intorno al 10%. Ciò è legato al fatto che il Paese non è più una “porta d’ingresso” privilegiata per l’UE e le sue prospettive di crescita economica sono peggiorate. Questo si è necessariamente riflesso anche nell’appetibilità del suo mercato: a valutazioni così basse, l’interesse verso l’azionario britannico e la disponibilità delle società a utilizzarlo per la raccolta di capitali sono stati compromessi. Nel dettaglio, i costi della Brexit hanno contribuito alla sottoperformance e all’aumento dello sconto di valutazione del mercato azionario del Regno Unito, il terzo al mondo per importanza, rispetto ai suoi omologhi globali, dando il via a un circolo vizioso. Le basse valutazioni e la mancanza di interesse da parte degli investitori spingono le società a prendere in considerazione la possibilità di rinunciare alla quotazione a Londra e di passare a giurisdizioni più grandi e con valutazioni più elevate, come gli Stati Uniti; come fatto notare di recente da Shell, il più grande titolo azionario del Regno Unito. Gli scarsi risultati e le basse valutazioni di mercato, poi, arrivano a deprimere l’attività delle IPO, una via di raccolta di capitali fondamentale per le aziende».

FOTO: shutterstock
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