Come è ormai noto, le elezioni statunitensi, finora, hanno previsto un confronto a distanza serratissimo tra la candidata democratica Kamala Harris e l’ex presidente USA Donald Trump.
Secondo quanto evidenziato da Ebury, società fintech specializzata in pagamenti e incassi internazionali, soluzioni di gestione del rischio cambio e finanziamenti all’importazione, in un sondaggio, attualmente, Trump è ora visto come favorito, ma« la competizione per la Casa Bianca è ancora così equilibrata da non permettere di azzardare un pronostico sul potenziale vincitore». Ad ogni modo, qualora il trend favorevole all’ex inquilino della Casa Bianca dovesse essere confermato anche alle urne, Ebury sottolinea anche le conseguenze di una scelta di questo tipo sul fronte del dollaro. Infatti Il “Trump trade” ha favorito il dollaro a ridosso delle elezioni con l’indice del dollaro USA che si aggira sui massimi di inizio agosto. «Riteniamo che il recente rally dell’USD sia dovuto in parte anche ad altri fattori».
Il mercato valutario e le previsioni sul Congresso
Il primo, continuano da Ebury, è quello riguardante i dati economici statunitensi straordinariamente solidi. Il secondo una Fed che vede un ciclo di tagli lento e prudente. Il terzo, le tensioni in Medio Oriente che sembrano favorire le valute rifugio. «C’è ancora molto spazio per grandi oscillazioni nel mercato valutario la sera delle elezioni». Alto anche il livello dell’asticella dei rendimenti. Infatti, guardando il Treasury decennale a stelle e strisce si parla del 4,3%, il più alto da luglio. Ma con Trump, però, si attende anche una generale riduzione delle tasse e un maggiore protezionismo che, a sua volta, potrebbe portare ad un aumento del rischio geopolitico.
Il fronte del voto popolare, che come sappiamo non è determinante per la vincita dato il particolare sistema elettorale statunitense, Sembra preferire Trump per quanto riguarda economia, immigrazione e affari esteri. La sua avversaria, invece, raccoglie consensi su assistenza sanitaria e unificazione del Paese.
Una questione solo apparentemente secondaria ma in realtà basilare, è quella riguardante la composizione del Congresso. Infatti il presidente, chiunque esso sia, deve avere l’appoggio anche delle camere per riuscire a far approvare la maggior parte delle proposte fatte in campagna elettorale. Le proiezioni citate da Ebury vedono i repubblicani favoriti per la conquista della Camera (51%) e del Senato (84%). Cosa significa questo? Semplicemente che il peso politico dei due partiti porterà ad «un Congresso diviso e a politiche meno incisive o difficilmente attuabili. Fa eccezione la politica estera, dove il presidente ha maggiore autonomia (Es i nuovi dazi promessi da Trump)».
Le conseguenze sulle politiche statunitensi
Ma quali saranno le conseguenze sulla politica interna e su quella estera? Cominciando dalla prima, in caso di elezione di Donald Trump (Partito repubblicano), Ebury ricorda che potrebbero arrivare Forti stimoli fiscali ed estensione del Tax Cuts and Jobs Act del 2017 anche oltre il 2025. Contemporaneamente l’imposta sulle società resterà al 21% mentre ci potrebbe essere un ampliamento degli sgravi fiscali sui figli, esenzioni su redditi da previdenza sociale e da mance. Per quanto riguarda i tagli, si parla di circa 10,5 miliardi di dollari se approvati. A far paura sarebbero le cifre, in aumento, del deficit statunitense: 5.800 miliardi di dollari nel prossimo decennio.
Diverso, invece, il panorama in caso di elezione della democratica Kamala Harris. In questo caso Ebury sottolinea stimoli fiscali più bilanciati, ovvero aliquota d’imposta sulle società al 28% dal 21% e imposta sulle plusvalenze al 28% dal 20% (inferiore al 39,6% proposto da Biden). Ci sarebbe, poi, un politica fiscale espansiva su edilizia, istruzione e infrastrutture a vantaggio di un aumento del deficit USA più contenuto: 2.000 miliardi di dollari nel prossimo decennio.
Per quanto riguarda la politica estera, la Harris Kamala Harris potrebbe facilmente rappresentare una continuità con la linea tracciata da Biden ed attuare un minor protezionismo rispetto a Trump con eventuali dazi più contenuti ma con relazioni USA-Cina sempre fredde. Ci saranno comunque ampie limitazione delle esportazioni di semiconduttori.
Sul fronte estero con Trump si ripartirà dal suo famoso “America First” caratterizzato da più protezionismo e, quindi, dazi doganali del 10% minimo su tutte le importazioni, dazi del 60% sulle importazioni cinesi e tagli alle tasse che, però, potrebbero portare forti perdite sul gettito fiscale. Inoltre la sua politica potrebbe portare anche ad una revisione dell’adesione alla NATO degli USA con conseguente aumento dei rischi per la sicurezza europea e maggiore incertezza geopolitica.