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Economia

Non solo dazi, all’orizzonte si delinea una guerra valutaria?

Rossana Prezioso
10 Dicembre 2024
Non solo dazi, all’orizzonte si delinea una guerra valutaria?
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Le prossime politiche protezioniste del tycoon potrebbero aumentare le scintille anche tra gli USA e l’Europa proprio in un momento estremamente delicato per il Vecchio Continente

Il ritorno di Donald Trump ha portato molti analisti a guardare con timore al possibile ritorno di una guerra valutaria, tensioni che si vanno ad aggiungere a quelle, già in atto, tra Washington e Pechino oltre che tra Pechino e Bruxelles. Ma le prossime politiche protezioniste del tycoon potrebbero aumentare le scintille anche tra gli USA e l’Europa proprio in un momento estremamente delicato per il Vecchio Continente e, in generale, per tutto il panorama internazionale. Gabriel Debach, market analyst di eToro fa il punto della situazione.

Dopo la crisi finanziaria del 2008 le politiche accomodanti delle banche centrali fecero parlare di guerra valutaria. Il ritorno dei tagli sui tassi (dopo i  recenti rialzi) potrebbe resuscitare le stesse paure?

«Dopo la crisi finanziaria del 2008, le politiche monetarie accomodanti delle banche centrali hanno sollevato timori di una “guerra valutaria”, in cui i paesi potrebbero cercare di svalutare le proprie monete per stimolare le esportazioni. Il potenziale ritorno ai tagli dei tassi di interesse potrebbe effettivamente riaccendere queste preoccupazioni. Inoltre, i rischi legati all’imposizione di dazi commerciali hanno contribuito al rafforzamento del dollaro statunitense rispetto all’euro, al peso messicano, al dollaro canadese e allo yuan cinese, per citarne alcuni. Ad esempio, nonostante gli sforzi della Cina per sostenere lo yuan, la valuta ha raggiunto nuovi minimi a causa delle aspettative che le autorità potrebbero continuare ad allentare la politica monetaria per rilanciare l’economia. Questo movimento è stato ulteriormente accentuato dalle tensioni commerciali e dalle prospettive di tariffe più elevate, specialmente con l’ascesa di politiche protezionistiche negli Stati Uniti. Questi fattori combinati—politiche monetarie espansive e tensioni commerciali—potrebbero portare a una svalutazione competitiva delle valute, alimentando i timori di una guerra valutaria. Se le principali economie dovessero adottare misure non coordinate per affrontare le proprie sfide economiche interne, potrebbero sorgere squilibri nei mercati valutari e tensioni nelle relazioni commerciali internazionali».

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Il processo di de-dollarizzazione del mercato mondiale tentato dai BRICS e il conseguente monito di Trump sulle conseguenze possibili potrebbe essere la miccia per una possibile guerra valutaria?

«No. Nonostante i recenti sviluppi legati alla de-dollarizzazione, è poco realistico ipotizzare una completa uscita dal sistema dollarocentrico nel breve o medio periodo. Il dollaro resta la colonna portante dell’economia globale, come dimostrano i dati: il 58% delle riserve valutarie mondiali è detenuto in dollari, il 54% delle esportazioni è fatturato in questa valuta, e l’88% delle transazioni sul mercato dei cambi coinvolge il biglietto verde. Il dominio del dollaro non è solo economico ma anche geopolitico. Gli Stati Uniti possono utilizzarlo come un’arma economica per esercitare pressioni su paesi terzi attraverso sanzioni e restrizioni. Questa capacità, resa evidente nel caso della Russia, ha spinto molti paesi BRICS a cercare un piano B per ridurre la propria dipendenza dal dollaro. Tuttavia, la de-dollarizzazione non è priva di costi e rischi: le transazioni in valute locali risultano spesso più costose, meno efficienti e più esposte alle fluttuazioni. Per questo, al momento, rappresentano un’alternativa complementare piuttosto che una reale sostituzione. L’obiettivo, quindi, non è abbandonare il dollaro, ma diversificare i mezzi di pagamento per mitigare il rischio di sanzioni e rafforzare l’autonomia economica. Quanto al rischio di una guerra valutaria, è impensabile che gli Stati Uniti restino inerti di fronte a tentativi concreti di ridimensionare il ruolo del dollaro, come sottolineato dal monito di Trump. Tuttavia, una guerra valutaria su larga scala appare poco plausibile: nessuno – Cina inclusa – ha interesse a destabilizzare un sistema da cui trae ancora enormi benefici, come dimostrano le consistenti riserve in dollari detenute da Pechino. Inoltre, l’attuale sistema finanziario globale è profondamente integrato, e un suo stravolgimento causerebbe gravi conseguenze economiche anche per chi lo contesta. Non si tratta quindi di un attacco frontale al dollaro, ma di una progressiva e cauta riduzione della dipendenza da esso. Per gli Stati Uniti, però, questa strategia rappresenta un chiaro campanello d’allarme. Le tensioni derivanti dalla de-dollarizzazione, sebbene lente e graduali, potrebbero contribuire ad alimentare dinamiche geopolitiche sempre più complesse nel prossimo futuro».

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2 Dicembre 2024
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La crisi sia politica che economica di Francia e Germania stanno indebolendo l’euro. Quali sono le possibili previsioni per la moneta unica?

«L’attuale debolezza dell’euro riflette sia le difficoltà politiche ed economiche dell’Eurozona, in particolare di Germania e Francia, sia il confronto con un dollaro sostenuto nel breve termine da fondamentali solidi. Le aspettative di politiche fiscali espansive negli Stati Uniti e misure commerciali volte a rafforzare la produzione interna continuano a dare forza al biglietto verde, consolidandone la posizione nel cambio EUR/USD. Tuttavia, il quadro potrebbe mutare nel medio termine. La BCE, infatti, potrebbe trovarsi costretta a intensificare il supporto all’economia dell’Eurozona, soprattutto in un contesto in cui la fine dei reinvestimenti PEPP contribuisce a una graduale riduzione della liquidità. Sul fronte americano, nonostante la resilienza attuale, l’economia statunitense si trova a fronteggiare prospettive di ulteriori tagli dei tassi e un crescente peso del debito pubblico. Questi fattori, insieme ai deficit gemelli derivanti da politiche fiscali e commerciali espansive, potrebbero minare i fondamentali del dollaro a lungo termine, creando spazio per un recupero dell’euro. Nel breve termine, il cambio EUR/USD sembra destinato a rimanere sotto pressione, con la possibilità di scendere sotto 1,05. Tuttavia, nel medio periodo, ci sono margini per una ripresa graduale dell’euro, che dipenderà da un mix di fattori: la capacità della BCE di bilanciare una politica monetaria accomodante con il sostegno all’economia reale, le condizioni macroeconomiche dell’Eurozona e la sostenibilità delle politiche statunitensi».

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Quanto contano i dazi di Trump nella strategia di svalutazione dello yuan cinese? E quali conseguenze potrebbe avere uno yuan debole sull’economia mondiale?

«La politica dei dazi inaugurata dall’amministrazione Trump e, mantenute e in alcuni casi aumentate dall’amministrazione Biden, hanno rappresentato un tassello fondamentale nelle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, ma il suo impatto sulla svalutazione dello yuan cinese va analizzato in un contesto più ampio. Sebbene l’introduzione, durante la prima amministrazione Trump, di tariffe su beni cinesi per un valore di oltre 360 miliardi di dollari abbia spinto Pechino a cercare di mantenere competitivi i propri prodotti attraverso un progressivo deprezzamento del renminbi (USDCNH +8,45% tra gennaio 2016 e dicembre 2023), non è corretto attribuire l’intero fenomeno alla sola guerra commerciale. Altri fattori, come le politiche monetarie cinesi e la necessità di sostenere l’economia interna, hanno giocato un ruolo significativo. Uno yuan debole ha però conseguenze rilevanti sull’economia globale. Da un lato, rende più competitivi i beni cinesi sui mercati internazionali, attenuando in parte l’effetto dei dazi statunitensi. Dall’altro, crea pressioni sulle economie emergenti, che competono con la Cina su prodotti a basso valore aggiunto e soffrono di maggiori costi di indebitamento in dollari. Inoltre, il deprezzamento dello yuan aumenta il costo delle esportazioni verso la Cina, danneggiando paesi esportatori come gli Stati Uniti e l’UE. Questo quadro evidenzia come il deprezzamento dello yuan non sia solo un’arma nella guerra commerciale, ma anche un riflesso delle profonde trasformazioni nelle catene di approvvigionamento globali. Il reshoring e la diversificazione produttiva, incentivati dai dazi, stanno ridisegnando il commercio internazionale, con impatti di lungo periodo difficili da prevedere».

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Lo schema monetario che si sta delineando in queste settimane vede dollaro e yen solidi, euro e yuan deboli. Quali previsioni è possibile fare su questi due cross valutari?

«Nel breve termine, il dollaro e lo yen sembrano destinati a mantenere la loro forza relativa, mentre l’euro e lo yuan continueranno a soffrire di pressioni economiche e politiche.  Tuttavia, cambiamenti nelle politiche monetarie e fiscali potrebbero ridisegnare il quadro nel medio-lungo termine, favorendo un graduale recupero dell’euro e un possibile consolidamento dello yuan».

A patto che, conclude Debach, la Cina riesca a stabilizzare la propria economia.

FOTO: shutterstock
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