
Nel bene e nel male, è stata la figura dominante di questo periodo storico
Il prossimo 26 settembre finirà una vera e propria era per la Germania: quella di Angela Merkel.
La cancelliera è stata eletta nel 2005 e, per oltre 15 anni, è stata nel bene e nel male la protagonista principale delle dinamiche politiche europee.
Una leader pragmatica, che ha affrontato diverse crisi, non ultima quella del Covid, adattandosi di volta in volta all’ostacolo da superare, tessendo compromessi e mantenendo sempre molto alto il consenso popolare, benché le sue decisioni abbiano spesso avuto una controparte oscura, un elemento di incompiutezza. Il suo stile di leadership è caratteristico, fondato sulla volontà di conservare uno status quo politico ed economico che garantisse la centralità della Germania in Europa. Non ha governato seguendo un concetto di grande strategia ma ha trascinato il Paese letteralmente fuori dalla storia, concentrando i suoi sforzi politici nella tutela e nell’espansione del surplus commerciale, considerato il metro di misura della potenza economica tedesca.
Più di ogni altro esponente della Commissione, Merkel ha rappresentato l’Europa e la sua governance a partire da quando nel 2007 ha guidato le negoziazioni finali per il Trattato di Lisbona. Ha affrontato poi gli anni della Grande Recessione e della crisi dei debiti sovrani tra il 2010 e il 2011, rappresentando il volto duro dell’austerità, del rigore sui conti pubblici e della linea dura contro i Paesi in difficoltà.
Nata nel 1954 ad Amburgo come Angela Dorothea Kasner, la futura cancelliera si è formata nella Germania dell’Est. Suo padre era un pastore luterano. È una scienziata prestata alla politica: nella Ddr, infatti, si è laureata in fisica all’Università di Lipsia ed è stata segretaria di un piccolo gruppo della Freie Deutsche Jugend, un’organizzazione giovanile del regime responsabile per l’agitazione e la propaganda dell’Accademia delle Scienze della Germania dell’Est. Nel 1977 ha sposato l’ex studente di fisica Ulrich Merkel, conosciuto a Mosca, di cui avrebbe sempre mantenuto il cognome.
Al momento della caduta del Muro, Merkel si è rivolta inizialmente ai socialdemocratici per iniziare la carriera politica, salvo cambiare successivamente idea e rivolgersi alla Cdu, dove le venne permesso di fare subito carriera perché “donna, dell’Est e laureata in Fisica”.
Il cancelliere Helmuth Kohl approvò la candidatura di Merkel al Buderstag, il Parlamento federale tedesco, nominandola ministro per le Donne e i Giovani nel terzo Governo tra il 1991 e il 1994 e ministro dell’Ambiente nel seguente, tra il 1994 e il 1998, anno in cui Angela sposò in seconde nozze il collega scienziato Joachim Sauer.
Ma la vera svolta per la carriera politica di Angela arrivò nel 1998 con la sconfitta di Kohl alle elezioni: acquisì popolarità nell’ambito della discussione sul tema della transizione energetica dal nucleare e nel 2000, a seguito di uno scandalo che coinvolse Kohl, ebbe modo di criticarne la linea di condotta e di presentare sé stessa come il volto nuovo capace di riportare i centristi democristiani al Governo.
Fu un successo.
Merkel fu in grado di cavalcare l’onda della crescente rivolta sociale contro le difficoltà economiche e guidò l’opposizione tra il 2002 e il 2005 fino alle elezioni anticipate che videro l’Unione Cdu-Csu perdere due milioni di voti, con il parallelo tracollo della Spd che spianò a Merkel la strada per la cancelleria federale.
Fu il primo di quattro mandati, tre dei quali caratterizzati da un generale immobilismo, che ha portato grossi benefici alla grande industria esportatrice tedesca.
Il risveglio, brusco, avviene nel 2015 con la grande crisi migratoria: si erano accumulate nel Paese contraddizioni interne connesse alla disuguaglianza economica e alle prospettive lavorative della popolazione. L’ultimo mandato è stato caratterizzato dal contenzioso geopolitico ed economico con gli Usa per i continui rapporti energetici con la Russia, ma anche dal rapporto con un amico-nemico della Germania, Mario Draghi, che è riuscito a limare molto la linea intransigente di Merkel in campo migratorio ed europeo.
Dopo le ultime elezioni Angela Merkel ha deciso di rinnovare la Grande Coalizione con i socialdemocratici e in Germania sono ripresi gli investimenti pubblici, ma all’interno del partito ci sono state numerose spaccature. La situazione è radicalmente cambiata con lo scoppio della pandemia.
Il Covid ha valorizzato la Cdu come partito di Governo e Merkel è tornata a far parlare di sé per come ha affrontato la crisi, con il solito pragmatismo, ma impregnato di un’umanità nuova: ha imposto decisioni spedite sulle chiusure e ha mobilitato oltre 156 miliardi di euro di potenziale deficit, oltre a porsi come mediatore tra i falchi rigoristi e i Paesi mediterranei sulle misure comunitarie da imporre per tamponare gli effetti del contagio.
Il colpo di coda della cancelliera è stata la governance del Recovery Fund, che ha segnato un vero compromesso tra la Angela Merkel del passato e quella contemporanea, più fusa con i drammi del presente e più coinvolta in Europa.
Adesso è ora per lei di lasciare le redini a chi le succederà. Con l’ultimo confronto tra Armin Laschet (Cdu/Csu), Olaf Scholz (Spd) e Annalena Baerbock (Verdi) affiancati dai candidati minori, in Germania si è chiusa la campagna per il voto delle politiche di domenica. Non resta che scoprire dalle urne chi sarà il leader che, volente o nolente, dovrà fare i conti con l’eterna comparazione con colei che lo ha preceduto.
di: Micaela FERRARO
FOTO: ANSA
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