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Like, anzi, hate: Facebook alimenta il clima di veleni online

Alessia Malcaus
4 Ottobre 2021
Like, anzi, hate: Facebook alimenta il clima di veleni online
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Le rivelazioni dell’ex dipendente non lasciano dubbi: la propagazione dell’odio virtuale è negli interessi del social network Avrà anche, come dicevamo qui, chiuso le porte in faccia ai talebani, ma […]

epa09020505 An illustration image shows a phone screen with the Facebook logo and Australian Newspapers at Parliament House in Canberra, Australia, 18 February 2021. Social media giant Facebook has moved to prohibit publishers and people in Australia from sharing or viewing Australian and international news content in response to Australia's proposed media bargaining laws.  EPA/LUKAS COCH AUSTRALIA AND NEW ZEALAND OUT

Le rivelazioni dell’ex dipendente non lasciano dubbi: la propagazione dell’odio virtuale è negli interessi del social network

Avrà anche, come dicevamo qui, chiuso le porte in faccia ai talebani, ma la rete sociale di Mark Zuckerberg resta terreno fertile per gli odiatori da tastiera più o meno occasionali.

È la confessione di Frances Haugen, ingegnere informatico per due anni nell’organico di Facebook che, alle telecamere della CBS e, domani, al cospetto del Congresso, ha confermato le voci che dai tempi delle ultime elezioni presidenziali statunitensi circolavano sull’allentamento della censura dei messaggi di odio e di contenuti disinformativi come i presunti brogli sui risultati del voto.

È pensiero comune che l’attività sui social abbia esacerbato i comportamenti più aggressivi di molti di noi, ma a fare notizia è l’indulgenza delle piattaforme nei confronti dei loro utenti più violenti, che in certi casi sfiora quasi l’incoraggiamento: è la logica del profitto e del mercato che si impone sull’etica della comunicazione, tradottasi in una modifica degli algoritmi che oggi consente a bufale e post e commenti di chiara matrice eversiva e cospirazionista di restare praticamente impuniti.

È una questione personale per Haugen, spinta all’azione dalla perdita di una persona cara a causa di questa tendenza, ma è soprattutto una missione di civiltà, che sulla gemella Instagram si rivolge principalmente ai ragazzi, in esodo massiccio verso la piattaforma di condivisione fotografica, specialmente le giovani donne, spinte dal loro interesse nei confronti di contenuti legati al disordine alimentare, con pesanti ricadute sul loro equilibrio psicologico.

La risposta di Facebook, che intende rassicurare l’opinione pubblica per quanto riguarda la sua attenzione nei confronti di fake news e hate speech, è telegrafica e lapidaria: «sostenere che incoraggiamo i cattivi contenuti e non facciamo niente per fermarli non è vero».

Più articolata l’autodifesa di Zuckerberg, che bolla come insensate le dichiarazioni di Haugen: «Al livello più elementare penso che molti di voi non riconoscano la falsa immagine della società che è stata dipinta», ha affermato il fondatore del social network.

E ancora: «L’argomentazione che deliberatamente spingiamo per il profitto contenuti che rendono le persone arrabbiate è profondamente illogica: facciamo soldi con le inserzioni e gli inserzionisti continuamente ci dicono che non vogliono che i loro annunci siano vicino a contenuti dannosi o furiosi. Non conosco alcuna azienda tech che vuole realizzare prodotti che rendono le persone arrabbiate o depresse. Morale, business e incentivi sui prodotti puntano tutti nella direzione opposta».

di: Andrea BOSCO

FOTO: EPA/LUKAS COCH AUSTRALIA AND NEW ZEALAND OUT

LEGGI ANCHE: Facebook e Clubhouse, sul dark web i dati di 3,8 miliardi di utenti

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