
Pechino chiede l’estensione della tassa della proprietà, partita in via sperimentale in alcune zone con imposizioni fino all’1,2% annuo. Si temono fallimenti nel settore a catena
In Cina il presidente Xi ha annunciato l’estensione della tassa della proprietà, partita in via sperimentale in alcune zone con imposizioni fino all’1,2% annuo.
Il Paese ha lanciato un programma pilota sulla fiscalità nel 2011 nelle province di Shanghai e Chongqing e in passato gli esperti hanno suggerito di ampliare i test pilota per includere la città di Shenzhen e la provincia di Hainan. Quando il progetto è partito la Cina ha cominciato a riscuotere le tasse sulla proprietà su alcune categorie di residenze di lusso a Shanghai. Secondo Sixth Tone, rivista in mano al Governo, Shanghai impone ai proprietari di seconde case una tassa annuale dello 0,4-0,6%, a seconda del prezzo dell’immobile, mentre Chongqing fa pagare dallo 0,5% all’1,2% ai possessori di residenze singole e a chi detiene appartamenti di lusso. Lo scorso marzo il Governo cinese ha dichiarato nel suo piano di sviluppo per il 2021-2025 che avrebbe spinto per una legislazione sull’imposta sulle residenze nei prossimi cinque anni.
La verità è che Pechino ha bisogno di un maggiore sostegno fiscale, soprattutto vedendo il rallentamento della crescita del Pil (guarda qui). E una tassa di questo tipo potrebbe frenare la speculazione nel mercato immobiliare, attualmente sotto attento esame da parte degli investitori internazionali mentre il colosso Evergrande, appesantito da 305 miliardi di dollari di debito, lotta per non crollare. Il punto è che il mattone pesa attorno al 28% del Pil cinese e un’ulteriore stretta sul settore potrebbe condurre ad una serie di fallimenti. Barclays ha calcolato che il mattone cinese vale oltre 50.000 miliardi di dollari, molto più di quello statunitense.
di: Maria Lucia PANUCCI
FOTO: REUTERS/Bobby Yip/File Photo
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