Secondo un rapporto di Confartigianato, il 36,2% della forza lavoro totale potrebbe subire conseguenze. Soprattutto i lavori intellettuali
In Italia, sono ben 8,4 milioni i lavoratori che potrebbero essere influenzati dall’espansione dell’intelligenza artificiale. Questo è quanto emerge da un rapporto stilato da Confartigianato, che ha approfondito il livello di coinvolgimento dell’IA nel nostro panorama occupazionale.
Dai risultati emersi, è evidente che il 36,2% della forza lavoro totale potrebbe subire le conseguenze delle profonde trasformazioni tecnologiche e dei processi automatizzati. Questa percentuale italiana risulta inferiore di 3,3 punti rispetto alla media europea del 39,5% di lavoratori con una maggiore esposizione all’IA.
Tra i paesi analizzati, la situazione è più critica in Germania e Francia, con rispettivamente il 43% e il 41,4% dei lavoratori in una posizione più precaria, seguiti dal Lussemburgo, che registra addirittura il 59,4% di lavoratori in questa situazione. Altri paesi che si collocano sopra la media sono il Belgio, con il 48,8%, e la Svezia, con il 48%.
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Le categorie professionali più suscettibili all’impatto dell’IA sono quelle che richiedono un elevato livello di competenza e contenuti intellettuali e amministrativi. Questa lista è guidata da professionisti come tecnici dell’informazione e della comunicazione, dirigenti amministrativi e commerciali, specialisti delle scienze commerciali e dell’amministrazione, nonché specialisti in scienze e ingegneria, e dirigenti della pubblica amministrazione.
Tra le categorie di occupazioni meno suscettibili ai rischi vi sono quelle con un aspetto manuale che non sia standardizzato. Secondo i dati raccolti da Confartigianato, l’espansione dell’intelligenza artificiale minaccia il 25,4% dei nuovi lavoratori che entreranno nelle imprese nel 2022, cifra che si traduce in 1,3 milioni di individui. Nel caso delle piccole imprese con meno di 49 dipendenti, la percentuale si attesta al 22,2%, ovvero 729.000 persone.
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Esaminando la situazione geografica, la quota maggiore di personale in una posizione di incertezza si riscontra nelle regioni del centro-nord, in particolare in Lombardia (dove il 35,2% dei lavoratori assunti nel 2022 è più esposto all’IA), seguita dal Lazio (32%), Piemonte e Valle d’Aosta (27%), Campania (25,3%), Emilia Romagna (23,8%) e Liguria (23,5%).
Il rapporto di Confartigianato passa dall’affrontare rischi a sottolineare opportunità, rilevando che le imprese stanno adottando l’intelligenza artificiale come strumento per ottimizzare le proprie operazioni.
In particolare, il 6,9% delle piccole aziende italiane fa uso di robot, superando la media europea del 4,6% e, in particolare, raddoppiando la percentuale della Germania, che è del 3,5%. Inoltre, il 5,3% delle piccole e medie imprese sfrutta sistemi di intelligenza artificiale, mentre il 13% ha pianificato investimenti nell’applicazione dell’IA nel prossimo futuro.
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“L’intelligenza artificiale – sottolinea il Presidente di Confartigianato Marco Granelli – è uno strumento, non l’obiettivo. Non va temuta, ma piuttosto gestita con saggezza artigiana, affinché diventi uno strumento capace di elevare la creatività e le competenze ineguagliabili dei nostri imprenditori. Non esiste robot o algoritmo che possa eguagliare la conoscenza artigiana e replicare l’anima dei prodotti e dei servizi pregevoli che rendono il made in Italy unico nel mondo”.
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