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Economia

La crisi del settore immobiliare cinese ed il suo impatto sull’economia italiana

Rossana Prezioso
12 Novembre 2023
La crisi del settore immobiliare cinese ed il suo impatto sull’economia italiana
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Quali possono essere i legami con l’Italia e con il resto dell’economia mondiale Recentemente si è parlato spesso della crisi del settore immobiliare cinese. Per quale motivo le cronache finanziarie […]

Quali possono essere i legami con l’Italia e con il resto dell’economia mondiale

Recentemente si è parlato spesso della crisi del settore immobiliare cinese. Per quale motivo le cronache finanziarie e non si sono interessate ad un mercato apparentemente così lontano da quello europeo? Quali possono essere i legami con il resto dell’economia mondiale? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Bergonzi Financial markets content specialist di Investing.com

Da dove nasce la crisi del settore immobiliare cinese, un mercato che traina l’intera economia locale? Cosa sta accadendo ai colossi Evergrande e Country Garden?

«Probabilmente la crisi nasce dalla troppa euforia degli anni passati. Quando le cose vanno bene si è propensi a chiudere un occhio anche su ciò che non va. Ma quando poi, improvvisamente, qualcosa si incrina, tutti i problemi vengono a galla. È quello che è successo in Cina dopo il Covid. Negli anni precedenti, la grande crescita economica ha spinto i giganti dell’immobiliare a costruire a debito, sperando di ripagare i creditori con la vendita degli appartamenti. La domanda per decenni è stata forte, sorretta da un benessere crescente tra la popolazione, e i giganti immobiliari come Evergrande e Country Garden hanno contribuito a garantire un terzo del pil del Paese. Quando però il Covid ha mischiato le carte in tavola, la crisi della classe media ha posto un freno al settore e aumentato il tasso di insolvenza dei mutui. Il presidente Xi Jinping è stato così costretto a imporre regole più stringenti che hanno fatto scoppiare Evergrande. Dopo aver toccato l’apice nel 2018, quando era l’azienda immobiliare di maggior valore al mondo, dal 2020 la società è entrata in un tunnel senza. Le autorità cinesi prima ne hanno limitato l’accesso al credito a causa dei numerosi debiti e poi hanno arrestato i vertici, tra cui il fondatore, Hui Ka Yan. Si stima che a giugno 2023 i debiti dell’azienda di real estate ammontassero a 328 miliardi di dollari. Per fare un paragone, si tratta di una cifra superiore al pil dell’intera Romania. La stessa parabola che sta caratterizzando Country Garden. Dopo che il 18 ottobre la società non ha pagato una cedola di 15 milioni di dollari agli obbligazionisti, sono circolate voci su un possibile intervento dello Stato per salvare il costruttore».

Perché influenzano così tanto i mercati azionari?

«Si è sempre detto che questo sarebbe stato il secolo della Cina. Una convinzione diventata ancora più forte dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime che ha travolto l’occidente, favorendo il flusso degli investimenti finanziari verso Pechino. Contemporaneamente, la crescita effettiva del Dragone ha portato euforia tra la gente e sulle Borse. Dopo il Covid, tuttavia, le cose sono cambiate. La pandemia ha minato l’ottimismo dei cinesi che hanno iniziato a dubitare del futuro. Le difficoltà del settore immobiliare cinese hanno contribuito a frenare la crescita di Pechino e danneggiato investitori e imprese che negli anni hanno puntato sull’Oriente. Sui mercati, che vivono degli stessi sentimenti umani, la delusione per la crisi della Cina ha portato incertezza, concorrendo alla volatilità che caratterizza questo momento. Ma oltre al fattore emotivo bisogna considerare quello economico. I colossi cinesi dell’immobiliare si sono indebitati anche a Wall Street. La Cina, insieme al Giappone, è uno dei maggiori compratori di Treasury Bond americani. Una strategia che Pechino ha portato avanti negli anni per evitare che la moneta locale si apprezzasse troppo causando un ostacolo alle esportazioni. Anche se dopo il Covid la tendenza della Repubblica popolare è stata quella di vendere i titoli Usa, ad oggi la Cina detiene ancora 850 miliardi di dollari del debito americano, oltre che consistenti tranche di titoli azionari e obbligazionari di altri Paesi. Ecco perché è impensabile che una crisi economica cinese non coinvolga tutti i mercati globali».

Fino a che punto i problemi di Pechino possono riguardare l’economia italiana?

«Il nostro Paese è particolarmente legato alla Cina sul piano economico. Lo dimostra il fatto che siamo l’unico grande Paese europeo ad aver aderito alla “Via della seta”, l’iniziativa con cui Pechino puntava a entrare nelle infrastrutture economiche occidentali e da cui l’attuale governo si sta cercando di svincolare. Ma la connessione è testimoniata anche dai dati. Secondo l’ambasciata italiana a Pechino, il giro d’affari tra i due Paesi ha raggiunto i 73,9 miliardi di euro nel 2022, con le esportazioni italiane in Cina che hanno toccato il record di 16,4 miliardi di euro e importazioni per 57,5 miliardi. La Repubblica popolare, dopo gli Stati Uniti, è il primo Paese di destinazione extra Ue per il nostro export. Un calo della domanda cinese, quindi, inevitabilmente rappresenta un danno per la nostra economia. Nel 2019, quando è stato stipulato l’accordo sulla Via della seta, secondo l’Agenzia Ice c’erano 1.700 aziende italiane in Cina, di cui buona parte attive nel settore delle costruzioni. Al momento Pechino è occupata ad arginare le perdite e non si possono fare previsioni prima di vedere l’effetto delle misure restrittive imposte da Xi Jinping».

Ma l’esperto sottolinea anche un altro aspetto: se lo scoppio della bolla dei mutui subprime, prima, e il crollo dell’immobiliare cinese poi, ci insegnano che le crisi possono essere la conseguenza di un’eccessiva euforia, nulla toglie che possa accadere il contrario e che l’attuale pessimismo si possa trasformare in un riscatto futuro.

FOTO: SHUTTERSTOCK

  • Alessandro Bergonzi

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