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Lavoro

Lavoro, smart working e settimana corta: il sogno degli italiani

Maria Vincenza D'Egidio
23 Ottobre 2024
Lavoro, smart working e settimana corta: il sogno degli italiani
  • copiato!

Modelli di lavoro flessibili, l’80% degli italiani li insegue. Quali sono i Paesi pionieri del lavoro agile

Il mondo del lavoro è in costante evoluzione, e la possibile introduzione della settimana corta dopo l’affermazione ormai consolidata dello smart working, possono essere strumenti di salvaguardia del benessere dei lavoratori così come dell’ambiente.

Il termine “smart working” è probabilmente una delle parole più utilizzate negli ultimi 2 anni in Italia. Nel Belpaese, questa terminologia è stata utilizzata da ogni sorta di azienda e istituzione per comunicazioni in lingua italiana e in lingua inglese, anche se un inglese nativo avrà un’espressione stranita quando sentirà la parola “smart working” nel contesto in cui la utilizzano normalmente gli italiani. Sì, perché nel Regno Unito o negli Stati Uniti, questa espressione significa, “lavoro agile”, se, invece si intende lavorare da casa, si dovrebbe utilizzare “working fron home” o anche “remote work“.

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Una nuova indagine realizzata per Pulsee Luce & Gas, dalla società NielsenIQ, ha portato in luce i punti di vista su questo importante aspetto di un campione rappresentativo della popolazione italiana.

Dal rapporto emerge che 1 intervistato su 3 lavora in modalità full remote o ibrida. Lo smart working è mediamente concesso per il 37% delle ore totali di lavoro (uno o due giorni, su cinque). Complessivamente, il 49% del campione preferisce il lavoro agile, mentre il 42% l’ufficio.

Tra i lati positivi del lavoro da casa figurano principalmente la riduzione dei tempi di spostamento per raggiungere il luogo di lavoro (77%), che in media ammonta a 41 minuti, e dei costi (72%), che ammonta a circa 124 euro al mese tra viaggi e pranzi di lavoro) insieme a una migliore gestione del work-life balance (64%).

I maggiori rischi percepiti, invece, sono l’isolamento sociale (59%) (specie al Nord Ovest), la sedentarietà (58%) e la difficoltà a separare lavoro e vita privata (44%).

L’espansione del remote work risulta particolarmente compatibile con professioni che non necessitano di troppi strumenti e materiali. Infatti, più di 7 intervistati su 10 ritengono di avere tutti i dispositivi necessari per svolgere il proprio lavoro da casa.

Tuttavia, solo il 26% dichiara di avere una seduta ergonomica, il valore scende al 14% nel caso del piano di lavoro ad altezza regolabile e all’11% per i poggiapiedi.

Lavorare da remoto può voler dire ottimizzare il tempo per dedicarsi ad attività domestiche: l’89% del campione afferma infatti di approfittare delle pause per svolgere attività collaterali. Tra le più diffuse vi sono cucinare (66%), occuparsi delle faccende domestiche (45%), della lavatrice (44%) e guardare la televisione (29%).

La comodità di lavorare da casa ha anche un possibile risvolto della medaglia che riguarda proprio i consumi energetici: il 49% degli intervistati ritiene che con questa nuova modalità lavorativa i suoi consumi siano aumentati con conseguenze sulle bollette.

Gli italiani si sono però subito attivati per porre rimedio a questo possibile costo maggiore e le principali contromisure dichiarate sono l’illuminazione, con l’utilizzo di lampadine a basso consumo (59%), il maggiore ricorso alla luce naturale (per il 58%), cui si uniscono alcune accortezze di risparmio energetico. Dallo spegnimento del pc con distacco dall’alimentatore quando non è impiegato (44%), all’ottimizzazione nell’uso di climatizzatori e di riscaldamento (42%).

Per ottimizzare i costi del lavoro da remoto si va tendenzialmente verso scelte più sostenibili, magari spesso nemmeno troppo pensate.

Dall’indagine emergono le tendenze e i desideri dei lavoratori ma  la legge sul Lavoro Agile in Italia ha una sua storia antecedente alla pandemia da Covid 19 che la resa, tristemente, celebre. E’ anche vero che a seguito dell’emergenza sanitaria, il quadro normativo del Lavoro Agile ha subito negli ultimi anni diverse evoluzioni.

I diversi aspetti relativi al Lavoro Agile sono stabiliti dalla Legge, che lo definisce in tutti suoi aspetti giuridici. Nello specifico, la Legge affronta i diritti dello smart worker e il controllo da parte del datore di lavoro, gli strumenti tecnologici e le modalità con cui viene eseguita l’attività da remoto.

Per adottare iniziative di Smart Working, la normativa prevede che datore di lavoro e dipendente debbano sottoscrivere un accordo individuale sottoscritto tra le parti.

Dopo un primo periodo sperimentale caratterizzato da vuoti legislativi e parecchia confusione terminologica in materia di normative, la Legge n.81 del 22 maggio 2017 (anche detta Legge sul Lavoro Agile) ha finalmente regolato lo Smart Working.

L’articolo 18 della Legge n.81/2017 (dall’esplicativo titolo “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato“) fornisce una definizione di Lavoro Agile improntata su flessibilità organizzativa, volontarietà delle parti e adozione di strumentazione tecnologica.

Secondo l’accordo individuale stipulato tra dipendente e datore di lavoro, come detto poc’anzi, il rispetto dei tempi viene stabilito in fase di stipula dello stesso. L’orario di lavoro deve rispecchiare la durata massima delle ore giornaliere e settimanali previste dalla Legge e dalla contrattazione collettiva.

A partire dal 1° settembre 2022 l’accordo individuale per lo Smart Working deve essere comunicato in via telematica mediante il portale Servizio Lavoro. Le aziende private sono tenute a inviare la documentazione entro 5 giorni dall’inizio dell’attività lavorativa in modalità smart o, in caso di proroga, dall’ultimo giorno comunicato precedentemente.

Per quando riguarda invece le Pubbliche Amministrazioni, i datori di lavoro pubblici e le agenzie di somministrazione devono procedere all’invio dell’accordo entro il 20 del mese successivo all’inizio della prestazione in Smart Working o, in caso di proroga, dell’ultimo giorno del periodo comunicato prima dell’estensione del periodo.

La Legge sul Lavoro Agile nella PA merita un approfondimento dedicato. Il tema del Smart Working anche nella Pubblica Amministrazione è stato introdotto dalla Legge Madia, incentrata sulla riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche. Successivamente la Direttiva n. 3/2017 ha previsto che le Pubbliche Amministrazioni, seppur nel rispetto di certi limiti, adottassero misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del Telelavoro e sperimentare forme di Lavoro Agile.

L’INAIL (Circolare n.48), sebbene con qualche mese di ritardo rispetto all’entrata in vigore della Legge sul Lavoro Agile, si è pronunciata relativamente ad alcune questioni come tutela assicurativa, classificazione tariffaria, retribuzione imponibile dichiarando che nessuna subirà variazioni con l’adozione di lavoro in modalità agile.

La Legge di Bilancio del 2019 aveva poi definito alcuni criteri di priorità di accesso alle iniziative di Smart Working. Ad esempio, si indicava di dare priorità alle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità e ai lavoratori con figli disabili. Approcci che denotavano un’interpretazione ancora limitante del Lavoro Agile, volta più a “ghettizzare” coloro che lo utilizzavano che ad accompagnare la Trasformazione Digitale delle aziende italiane.

Una spinta decisiva allo Smart Working nelle PA è stata data all’inizio dell’emergenza sanitaria dalla Ministra Dadone che nella circolare del 25 febbraio 2020 incentivava le amministrazioni a potenziare il ricorso al Lavoro Agile e in quella dell’11 marzo lo presentava come modalità ordinaria di esecuzione della prestazione lavorativa. A questo si sono aggiunti i provvedimenti per snellire le procedure di acquisto di dotazioni informatiche, come pc e tablet, necessarie per consentire il lavoro da remoto.

Il termine per adottare il Lavoro Agile in maniera semplificata, senza quindi la necessità di accordi individuali, è stato prorogato con il decreto Aiuti-bis (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 settembre 2022) fino al 31 dicembre 2022 per le aziende private. Nel settore pubblico, invece, il ritorno in presenza è avvenuto a partire dal 15 ottobre, contestualmente alla decisione del Ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, di rendere quale modalità ordinaria di lavoro quella in presenza, come previsto dal Decreto dell’8 ottobre 2021 “Modalità organizzative per il rientro in presenza dei lavoratori delle pubbliche amministrazioni”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 13 ottobre 2021.

Tuttavia, con la direttiva del 29 dicembre 2023, il ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo ha cercato di sensibilizzare i dirigenti delle organizzazioni in tale ambito. Nello specifico ha evidenziato la necessità di garantire la possibilità – attraverso l’inserimento negli accordi individuali – di lavorare in modalità agile quelle persone che documentino gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, personali e familiari, anche derogando al criterio della prevalenza dello svolgimento della prestazione lavorativa in presenza.

Come visto in materia di normativa sul Lavoro Agile nelle Pubbliche Amministrazioni, dunque, durante l’emergenza Covid-19 il Lavoro Agile ha subito una vera e propria accelerata da un punto di vista legislativo, non senza una discreta confusione applicativa.

Il Lavoro Agile è stato adottato come modalità preferibile o addirittura obbligatoria, in quanto soluzione per conciliare le limitazioni dovute all’emergenza sanitaria con la necessità di assicurare la continuità del business.

A facilitare inizialmente l’adozione sono stati diversi provvedimenti. Innanzitutto i DPCM del 23 febbraio 2020 e dell’8 marzo hanno introdotto una procedura semplificata per l’adozione del Lavoro Agile nelle organizzazioni private e pubbliche che derogava alcuni aspetti previsti dalla legge n.81/2017 (ad esempio la sigla degli accordi individuali) per consentire alle organizzazioni che ne avevano la possibilità di permettere ai loro collaboratori di lavorare da casa sin da subito.

Se il settore pubblico ha visto il rientro in presenza a partire al 15 ottobre 2021, il settore privato ha assistito al ritorno a tutti gli effetti delle direttive fissati dalla legge 81/2017 a partire dal 1° gennaio 2023.

Ciò significa che da tale data lo Smart Working non è più definibile dal regime semplificato, ma può essere applicato attraverso un accordo individuale tra datore di lavoro e dipendenti. Diversi aspetti del Lavoro Agile sono, quindi, definibili dalle parti dell’accordo (come frequenza, procedure di controllo, ecc.).

Il 9 novembre 2020 il Decreto Ristori bis aveva introdotto per i genitori la possibilità di ricorrere allo Smart Working o al congedo Covid-19 per i figli in quarantena scolastica o in didattica a distanza fino a 16 anni. Durante la conversione in legge del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115, cd. “Decreto aiuti-bis”, recante “Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali”, il Senato aveva approvato la proroga del Lavoro Agile al 31 dicembre 2022 per lavoratori fragili, pubblici e privati, anche senza accordo individuale.

Il 1° gennaio 2023 è cessato il diritto allo Smart Working per i genitori di figli under 14 nel settore pubblico. I lavoratori fragili hanno potuto continuare a usufruire del Diritto soggettivo al Lavoro Agile.

Con il decreto legge 132/2023 del 29 settembre 2023 il diritto allo Smart Working era stato concesso alle categorie di lavoratori super fragili, ossia con forme di disabilità grave, come pazienti oncologici o immunodepressi, fino al 31 dicembre 2023. Nel settore privato, inoltre, tale diritto era stato esteso anche ai lavoratori fragili – ossia a coloro che risultino più esposti al contagio da Covid-19, ma solo se la modalità di lavoro Smart fosse effettivamente compatibile con le mansioni da svolgere. Inoltre, il diritto era stato esteso anche ai genitori di figli under 14, purché il lavoro fosse effettuabile in modalità Smart e purché l’altro genitore non percepisse ammortizzatori sociali o non lavorasse.

Successivamente al D.L. 132/2023, attraverso l’articolo 18-bis della legge n.191/2023 – legge di conversione del decreto Anticipi (D.L. n. 145/2023) – il diritto allo Smart Working nel settore privato è stato prorogato al 31 marzo 2024, fatte salve le condizioni imposte nel decreto precedente.

Tuttavia, questa nuova proroga ha riguardato solo i genitori di figli under 14 e i lavoratori fragili (ossia i dipendenti che risultino più esposti al rischio di contagio da COVID-19 a seguito di un accertamento del medico competente), escludendo i lavoratori super fragili (le persone alle prese con patologie croniche e con particolari connotazioni di gravità, stabilite dal D.M. del Ministro della Salute del 4 febbraio 2022).

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  • no proroghe lavoratori fragili
  • lavoratori agili
  • primo aprile cosa cambia
  • smart working
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Tale diritto è dunque decaduto a partire dal primo aprile 2024, sia per i genitori con figli di età inferiore ai 14 anni, che per i lavoratori fragili.

Anche le conversazioni sulla settimana lavorativa di quattro giorni sono state riaccese dalla pandemia di coronavirus, con lavoratori e datori di lavoro che ripensano all’importanza della flessibilità e dei benefici sul posto di lavoro.

L’idea è semplice: i dipendenti lavorerebbero quattro giorni alla settimana, ricevendo lo stesso stipendio e guadagnando gli stessi benefit, ma con lo stesso carico di lavoro.

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  • settimana corta
  • indagine NielsenIQ
  • 80% italiani vuole settimana corta
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Le aziende che riducono la loro settimana lavorativa opererebbero quindi con un minor numero di riunioni e un lavoro più indipendente.

Sempre l’indagine di NielsenIQ offre spunti di riflessione anche sull’impatto sociale della settimana corta: ovvero quattro giorni di lavoro a settimana, desiderata dall’80% degli intervistati.

Circa la metà del campione (48%) dichiara di avere figli. Nella maggior parte dei casi (66%) sono gestiti in autonomia o con l’aiuto dei nonni (24%), solo l’11% si affida a figure esterne come baby-sitter o altre figure professionali, con una spesa media mensile di 115€.

Tre intervistati su quattro ritengono che la settimana corta possa generare benefici, dando la possibilità di gestire con maggiore autonomia i propri figli. Tra le iniziative di welfare aziendale evidenziate dai lavoratori, le più comuni sono benefit di tipo economico, come l’assegno familiare (40% del campione), o di tempo retribuito, sotto forma di giorni di paternità e di permessi (34%).

Per quanto riguarda invece la cura di familiari anziani o con disabilità, il 35% degli italiani afferma di occuparsene da solo, contro il 65% che ricorre a un aiuto esterno. In particolare, chi riceve supporto conta su altri familiari (42%), mentre il 34% si rivolge a badanti, case di riposo o altre forme di sostegno, con una spesa di circa 540 euro al mese.

Per l’85% degli intervistati ‘caregiver’ la settimana corta offre l’opportunità di curare i propri familiari con maggiore autonomia. Il bonus più offerto dalle aziende in questo ambito è la flessibilità (37%), seguita da ore di permesso (22%) e supporto psicologico (14%).

Per la cura domestica, solo il 13% del campione afferma di doversi rivolgere a professionisti, spendendo, in media, 107 euro al mese. Anche in questo caso la settimana corta viene percepita come un valido supporto, come dichiara l’80% degli intervistati.

Avere un giorno libero in più, inoltre, permetterebbe di dedicare maggiore tempo al benessere personale, soprattutto per svolgere l’attività fisica (62%), ma anche fare gite e viaggi (54%).

Il desiderio di adottare la settimana corta coinvolge 4 intervistati su 5, con il 50% che si definisce “molto interessato”. Per ottenere questo beneficio, i compromessi che i lavoratori sono più propensi ad accettare sono una maggiore flessibilità sull’orario di lavoro durante la settimana lavorativa (52%), un aumento della produttività durante i giorni lavorativi (47%) e un minor numero di pause (45%).

Soltanto il 10% sarebbe disposto ad una leggera riduzione dello stipendio. La settimana corta viene vista positivamente come modalità per accrescere l’equilibrio tra lavoro e vita privata (72% del campione), la soddisfazione personale (63%) e il tempo di qualità da dedicare alla famiglia e agli amici.

Tra gli aspetti critici sono invece elencati l’aumento del carico di attività durante i giorni lavorativi (51%), la maggior pressione e stress associato al raggiungimento degli obiettivi (37%) e i problemi di coordinamento (27%).

Salutato come il futuro della produttività dei dipendenti e dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, i sostenitori della settimana lavorativa di quattro giorni suggeriscono che, una volta implementata, la soddisfazione dei lavoratori aumenta, così come la produttività.

I sindacati di tutta Europa chiedono ai governi di implementare la settimana lavorativa di quattro giorni, ma quali Paesi hanno abbracciato l’idea e come sta andando sinora?

Belgio, favorisce i dipendenti che lo desiderano

Nel febbraio dello scorso anno, i dipendenti belgi hanno ottenuto il diritto di svolgere un’intera settimana lavorativa in quattro giorni invece dei soliti cinque, senza perdita di stipendio. Il disegno di legge è entrato in vigore il 21 novembre scorso, consentendo ai dipendenti di decidere se lavorare quattro o cinque giorni alla settimana.

Ma questo non significa che lavoreranno di meno: condenseranno semplicemente le loro ore lavorative in meno giorni.

Il primo ministro belga, Alexander de Croo, spera che il cambiamento contribuirà a rendere più flessibile il mercato del lavoro, notoriamente rigido in Belgio, e renderà più facile per le persone conciliare la vita familiare con la carriera. Ha anche aggiunto che il nuovo modello dovrebbe creare un’economia più dinamica.

Solo circa 71 belgi su 100. nella fascia di età dai 20 ai 64 anni. hanno un lavoro, meno della media della zona Euro di circa 73 e ben 10 punti percentuali in meno rispetto a Paesi vicini come Paesi Bassi e Germania, secondo i dati Eurostat per il terzo trimestre del 2021.

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L’accordo di coalizione federale a sette partiti del Paese ha fissato un obiettivo per un tasso di occupazione dell’80% entro il 2030, obiettivo che servirebbe a mantenere accessibili le pensioni legali o a finanziare futuri tagli fiscali. Tuttavia, la prospettiva di una settimana lavorativa di quattro giorni non è allettante per tutti.

Alcuni dipendenti a tempo pieno lavoreranno effettivamente giornate molto lunghe se scelgono di ridurre le loro ore, e altri, come i turnisti, semplicemente non avranno la possibilità di tale flessibilità.

Regno Unito, esperimento “estremamente riuscito”

Le aziende nel Regno Unito che hanno eseguito una prova di sei mesi della settimana lavorativa di quattro giorni stanno ora pianificando di rendere permanente la settimana lavorativa più breve, dopo aver salutato l’esperimento come “estremamente riuscito“.

Decine di aziende sono state coinvolte nel programma pilota di sei mesi – il più grande nel suo genere – lanciato il 6 giugno scorso per studiare l’impatto della riduzione dell’orario di lavoro sulla produttività delle imprese e sul benessere dei lavoratori, nonché l’impatto sull’ambiente e la parità di genere. Circa 61 aziende britanniche e più di 3.300 dipendenti si sono iscritti al programma, gestito da ricercatori delle università di Cambridge e Oxford e del Boston College, nonché dai gruppi di difesa (senza scopo di lucro) 4 Day Week Global, 4 Day Week UK Campaign e UK think tank Autonomia.

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La grande maggioranza – circa il 92% – delle aziende che hanno preso parte alla sperimentazione ha deciso di mantenere la politica di quattro giorni settimanali dopo il periodo di prova, salutando il progetto pilota come un “importante passo avanti”.

Nel processo, i dipendenti dovrebbero seguire il “modello 100:80:100”, vale a dire il 100% della retribuzione per l’80% del tempo, in cambio dell’impegno a mantenere almeno il 100% di produttività.

Il progetto britannico è uno dei tanti in tutto il mondo gestiti da 4 Day Week Global, che sostiene una settimana lavorativa più breve.

«Programmi simili inizieranno negli Stati Uniti e in Irlanda, con altri previsti per Canada, Australia e Nuova Zelanda», ha affermato Joe Ryle, direttore della campagna britannica della settimana corta.

Scozia e Galles, favorevoli al crescente movimento per la settimana corta

In Scozia, un processo governativo dovrebbe iniziare nel 2023, mentre anche il Galles lo sta prendendo in considerazione. La decisione è stata il culmine di una promessa elettorale fatta dallo Scottish National Party (SNP) al governo. I lavoratori avranno il loro orario ridotto del 20%, ma non subiranno alcuna perdita di compenso.

Il SNP sosterrà le società partecipanti con circa 10 milioni di sterline pari a 11,8 milioni di euro. Il governo ha indicato un recente sondaggio condotto dal think tank scozzese, l’Institute for Public Policy Research (IPPR) in Scozia, secondo cui l’80% delle persone che hanno risposto erano molto favorevoli all’iniziativa.

La Scozia ha indicato l’Islanda e i suoi ottimi risultati come una grande ragione per correre il rischio con la settimana lavorativa di quattro giorni. Alcune aziende scozzesi hanno già iniziato le proprie settimane lavorative “troncate”: UPAC Group (con sede a Glasgow) ha recentemente affermato che i suoi dipendenti godranno di una settimana di quattro giorni con lo stesso stipendio, dopo aver gestito con successo un programma pilota.

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In Galles, il 24 gennaio la commissione per le petizioni all’interno del Senedd (parlamento gallese) ha raccomandato al governo di condurre un programma pilota, a seguito della pubblicazione di un rapporto inerente.

Spagna, avviata fase sperimentale

Dopo che il partito di sinistra Más País ha annunciato lo scorso anno che il governo aveva acconsentito alla richiesta di lanciare un programma pilota di una settimana lavorativa di quattro giorni, la Spagna ha lanciato il progetto a dicembre.

Il progetto pilota aiuterà le PMI a ridurre la loro settimana lavorativa di almeno mezza giornata, senza ridurre i salari: si tratta di un test per vedere se la produttività può essere incrementata. Le aziende che si iscrivono possono ricevere aiuti da un fondo governativo di 10 milioni di euro, ma devono progettare modi per aumentare la produttività che compensi il superamento dei costi salariali, ha affermato il ministero dell’Industria spagnolo.

Questi miglioramenti devono essere implementati entro un anno, mentre l’azienda deve rimanere nel programma per almeno due anni. Per il primo anno del progetto pilota, il governo finanzierà in parte i costi salariali e contribuirà a finanziare la formazione per migliorare l’efficienza. Possono partecipare solo i lavoratori con contratto a tempo indeterminato a tempo pieno.

Islanda: uno dei leader nella settimana lavorativa di quattro giorni

Tra il 2015 e il 2019, l’Islanda ha condotto il più grande progetto pilota al mondo di una settimana lavorativa da 35-36 ore (ridotta rispetto alle tradizionali 40 ore), senza alcuna richiesta di una riduzione proporzionale della retribuzione.

Alla fase di test hanno preso parte circa 2.500 persone: per garantire il controllo della qualità, i risultati sono stati analizzati dal think tank britannico Autonomy e dall’Associazione no-profit islandese per la sostenibilità e la democrazia (ALDA). Il progetto pilota è stato definito un successo dai ricercatori e dai sindacati islandesi, che hanno negoziato una riduzione dell’orario di lavoro.

Germania: le startup tedesche sperimentano la settimana corta

La Germania ospita una delle settimane lavorative medie più brevi in Europa: secondo il World Economic Forum (WEF), la settimana lavorativa media è di 34,2 ore, tuttavia i sindacati chiedono un’ulteriore riduzione dell’orario di lavoro.

IG Metall, il più grande sindacato del Paese, ha chiesto settimane lavorative più brevi, sostenendo che aiuterebbe a mantenere i posti di lavoro ed evitare i licenziamenti. Secondo un sondaggio Forsa, il 71% delle persone che lavorano in Germania vorrebbe avere la possibilità di lavorare solo quattro giorni alla settimana.

Una sostanziale maggioranza (75%) ritiene che una settimana di quattro giorni sarebbe auspicabile per i dipendenti, con una maggioranza (59%) secondo cui dovrebbe essere realizzabile anche per i datori di lavoro.

Giappone: le aziende si avventurano nella settimana corta

In altri Paesi come il Giappone, sono le aziende più grandi che si stanno avventurando in questo territorio, in seguito all’annuncio del governo (nel 2021) di un piano per raggiungere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata in tutta la Nazione. Ci sono diverse ragioni per cui questo potrebbe essere positivo per il Paese, dove la morte per superlavoro miete molte vittime: infatti, il personale che lavora ore straordinarie può spesso ammalarsi a causa del lavoro eccessivo o diventare suicida.

Nel 2019, il gigante tecnologico Microsoft ha sperimentato il modello, offrendo ai dipendenti fine settimana di tre giorni per un mese: la mossa ha aumentato la produttività del 40% e ha portato a un lavoro più efficiente.

Nuova Zelanda: Unilever ci prova

Nel frattempo, in Nuova Zelanda, 81 dipendenti che lavorano per il colosso dei beni di consumo Unilever stanno attualmente prendendo parte a un anno di prova di una settimana lavorativa di quattro giorni, a piena retribuzione. Se l’esperimento si rivelerà un successo, verrà esteso anche a altri Paesi.

Stati Uniti e Canada: forte interesse

Secondo un sondaggio del fornitore di software cloud Qualtrics, il 92% dei lavoratori statunitensi è a favore della settimana lavorativa ridotta, anche se ciò significa lavorare più ore. I dipendenti intervistati hanno citato il miglioramento della salute mentale e l’aumento della produttività come benefici percepiti.

Tre dipendenti su quattro (74%) affermano che sarebbero in grado di completare la stessa quantità di lavoro in quattro giorni, ma la maggior parte (72%) afferma che per farlo dovrebbe lavorare più ore nei giorni lavorativi.

In Canada, una ricerca dell’agenzia globale per l’impiego Indeed ha rilevato che il 41% dei datori di lavoro canadesi sta prendendo in considerazione orari ibridi alternativi e nuovi stili di lavoro, a seguito della pandemia. Il sondaggio di Indeed su 1.000 datori di lavoro di impiegati in Canada ha rilevato che il 51% delle grandi aziende con oltre 500 dipendenti “probabilmente implementerebbe settimane lavorative di 4 giorni”.

Comparativamente, il 63% delle organizzazioni di medie dimensioni con 100-500 membri afferma che sarebbe disposto a implementare una settimana lavorativa più breve. Secondo un nuovo rapporto di Maru Public Opinion, la maggioranza dei lavoratori canadesi a tempo pieno (79%) è stata anche trovata disposta ad accorciare la settimana lavorativa.

Nel complesso, la settimana lavorativa di quattro giorni sembra lentamente ma sicuramente guadagnare terreno in tutto il mondo, pur restando da vedere se i governi adotteranno definitivamente l’idea.

E in Italia? Domani attesa la proposta in Commissione Lavoro alla Camera 

L’Italia, a parte il mondo dei privati, che si è già mosso in qualche modo verso la settimana corta, in via sperimentale e in forme diverse. Si possono citare a titolo di esempio Luxottica, Lamborghini, Intesa San Paolo e Lavazza, siamo ancora in fase embrionale.

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Si attende la proposta di legge unitaria del centro sinistra per una riforma far scendere le ore di lavoro da 40 a 32 alla settimana arriva all’esame della commissione Lavoro alla Camera: si inizia oggi, mercoledì 23 ottobre.

Al testo sono stati presentati una ventina di emendamenti, tutti per la sua soppressione. I partiti di minoranza chiedono invece un confronto “di merito”, attaccando la maggioranza.

I partiti di minoranza sono partiti da tre diverse proposte di legge, per poi confluire in un testo unitario da sottoporre alla maggioranza (come successo in passato sul salario minimo).

La versione finale punta a incentivare l’adozione di contratti collettivi che arrivino a ridurre l’orario di lavoro a 32 ore settimanali, invece delle canoniche 40, anche attraverso una rimodulazione dei turni di lavoro (da 5 a 4).

Il tutto non dovrebbe però avere alcun impatto sullo stipendio dei lavoratori. Inizialmente sarebbe una sperimentazione, quindi senza alcun obbligo per le aziende, della durata di 3 anni, al termine dei quali si chiede al governo di valutare l’impatto della misura ed eventualmente muoversi verso una sua istituzionalizzazione attraverso apposito Dpcm.

Come convincere i datori di lavoro a partecipare all’esperimento? La proposta pensa a un alleggerimento dei contributi fiscali, in misura proporzionale all’effettiva riduzione dell’orario, fino al 30% di quelli attuali (e in casi specifici, come per le piccole e medie imprese e per le realtà aziendali con lavori considerati più pesanti, si arriverebbe anche al 50-60%). Si prevede una spesa di 600 milioni di euro, di cui 50 per il 2024 e la parte restante per gli altri due anni della sperimentazione, 2025 e 2026.

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Sarebbe stata depositata una proposta soppressiva della proposta di legge delle opposizioni attualmente in esame alla commissione Lavoro
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Alla maggioranza di governo la proposta di legge delle opposizioni non convince: uno degli emendamenti più contrari, che quindi va verso lasoppressione totale del testo, è stato depositato proprio dal partito capofila dell’esecutivo, Fratelli d’Italia (a nome del deputato Marcello Coppo). Ci si aspetta che le opposizioni si iscrivano in massa a parlare all’esame del testo, per cercare di bloccare l’affossamento della proposta.

Le prospettive per il testo non sono rosee. Il governo dovrebbe procedere allo stop prima in commissione e poi ratificarlo in Aula, come già fatto lo scorso anno sulla proposta di legge sul salario minimo a 9 euro sulla quale, però, il centrodestra elaborò una propria controproposta utilizzando lo strumento della legge delega (ferma in commissione a Palazzo Madama).

 

FOTO: Shutterstock
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