Le attività di M&A nel settore bancario targate USA hanno registrato un forte incremento negli ultimi 10 anni. Un esempio arriva dai numeri registrati nel 2021 che hanno visto 208 operazioni per un valore complessivo di oltre 77 miliardi di dollari. Operazioni che potrebbero portare anche vari rischi. Per questo motivo le autorità per la regolamentazione bancaria e la stabilità finanziaria stanno puntando i riflettori sull’ampia e spesso non semplice normativa che viene applicata in questi casi. Proprio mentre il presidente USA vorrebbe, invece, semplificarli ulteriormente dopo la già precedente semplificazione risalente al suo primo mandato.
Cosa sta succedendo? Indubbiamente l’aumento delle M&A ha contribuito ad una crescita sostanziale del numero di grandi banche favorendo la stabilità del settore ma le autorità di regolamentazione continuano a concentrarsi sui requisiti necessari per dare vita alle varie operazioni.
Protagonista di questo monitoraggio è la Federal Reserve che recentemente, attraverso i risultati dei suoi stress test, ha promosso ben ventidue tra le maggiori banche degli Stati Uniti che, secondo le sue analisi, sarebbero ben posizionate in caso di una ipotetica, grave recessione economica. L’esame 2025 ha preso come esempio base uno scenario caratterizzato da grave recessione globale e un aumento della disoccupazione del 5,9%. Non solo. Lo scenario coinvolgeva anche il settore immobiliare. In particolare il quadro delineato vedeva un calo del 30% dei prezzi degli immobili commerciali e un -33% sui prezzi delle abitazioni.
Alla luce di queste ipotetiche condizioni, il superamento dell’esame ha confermato come particolarmente resilienti gli istituti più grandi che, in caso di possibile recessione, sarebbero comunque in grado di elargire prestiti nonostante le altrettanto potenziali perdite. Una notizia utile per l’intera economia USA che, sebbene ancora lontana dalla recessione, deve comunque fare i conti con le sempre più numerose incertezze geopolitiche che si profilano all’orizzonte. Infatti i risultati solidi evidenziati dagli stress test, seppur ipotetici, potrebbero persino favorire una ripresa dei prestiti bancari in vista di un dato sui consumi che, non teorico, vede le spese interne ancora forti.
La Federal Reserve recentemente è stata al centro delle cronache anche a causa degli strali che il presidente Trump ha lanciato contro i vertici della banca centrale colpevoli, a suo dire, di non tagliare i tassi di interesse. Nel mirino, in particolare, ci sarebbe il governatore Jerome Powell del quale Trump non ha esitato a chiedere apertamente le dimissioni (“Mi piacerebbe se si dimettesse, qualora lo volesse. Il suo operato è stato davvero scadente”) proprio mentre la Fed ha sottolineato l’impossibilità di tagliare ulteriormente il costo del denaro proprio a causa delle politiche protezioniste volute da Trump e del rischio inflazione ad esse legato. Ma quelle del presidente non sono le uniche pressioni esercitate sull’indipendenza della banca centrale.
Con il ritorno alla Casa Bianca, il tycoon sarebbe infatti intenzionato non solo a semplificare ulteriormente la normativa riguardante il settore bancario in generale e più in particolare il ramo M&A, ma anche a porre gli organismi di controllo finanziario indipendenti sotto il diretto controllo della Casa Bianca.
Per capire la delicatezza della questione è necessario fare un passo indietro. Una panoramica sul sistema bancario USA non può non citare la crisi delle banche regionali a stelle e strisce verificatasi nel marzo del 2023. In quell’occasione la Silicon Valley Bank fu al centro di una crisi di fiducia da parte dei correntisti che portò al prosciugamento del 25% dei conti correnti presenti nell’istituto. Un evento che allora mise in evidenza una possibile falla del sistema e cioè la non applicazione, da parte delle banche locali Usa delle regole prudenziali di Basilea, il tutto favorito anche dalle politiche finanziarie della prima amministrazione Trump che assecondarono una deregulation del ramo. Quali potrebbero essere le prime conseguenze? Indubbiamente un generale ribasso degli standard di sicurezza finanziaria che, partendo da Washington, si allargherebbe anche alle altre banche internazionali minacciate, queste ultime, sul fronte della competitività. Il tutto sullo sfondo delle già citate incognite di carattere geopolitico oltre che alle fragilità dovute alle tensioni sui dazi e alle debolezze dettate da livelli record di debito.