
Il conflitto in Medio Oriente tra Israele ed Hamas rischia di creare una nuova serie di problemi
Il settore energetico è sotto i riflettori ormai da diverso tempo. Nel 2022 l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha creato un vero e proprio shock. Adesso il conflitto in Medio Oriente tra Israele ed Hamas rischia di creare una nuova serie di problemi, soprattutto nel caso in cui lo scenario dovesse allargarsi ad altre nazioni. Lo scenario appare quanto mai incerto anche per i consumatori. Quali potrebbero essere le ripercussioni? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Bergonzi, Financial markets content specialist di Investing.com
Dopo la crisi energetica dell’anno scorso nata con l’invasione dell’Ucraina, oggi il settore deve affrontare anche la guerra in Israele. Quali potrebbero essere le ripercussioni su petrolio e gas sia per le forniture che per le quotazioni?
«Quando si verificano queste crisi geopolitiche le materie prime sono le prime ad essere suscettibili a forti variazioni. In particolare petrolio e gas scattano per la paura che queste materie prima possano venire a mancare. C’è poi un altro effetto che riguarda i cosiddetti beni rifugio e su tutti l’oro, che registrano un aumento vertiginoso della domanda a causa della paura e dell’incertezza che si creano. Partendo dal primo caso e cioè il petrolio, ha visto prima un forte rialzo seguito da un rallentamento. Si tratta di una buona notizia se pensiamo che quest’anno sia il Brent che il WTI cioè i due punti di riferimento del mercato energetico, hanno oscillato in un range tra i 70 e i 100 dollari al barile. Attualmente siamo lontani dai minimi dell’anno ma neanche vicini dai massimi e il fatto che non si sia visto un aumento estremo è un elemento positivo. Infatti dimostra che l’andamento non dipende solamente dalla guerra in corso in Medio Oriente o comunque dai conflitti. Per quanto riguarda il greggio si è visto, facendo un confronto con quanto accaduto durante la guerra in Ucraina, si può notare come la corsa dei rialzi fosse iniziata già prima dell’invasione e quest’ultima non ha fatto altro che favorire la spinta al rialzo. Al giugno 2022 il Wti aveva raggiunto un picco di 115 dollari al barile mentre nello stesso mese di un anno dopo e quindi a conflitto ancora in corso, è sceso a quota 70. Adesso che si è aggiunta la questione mediorientale, si aggira sugli 86 dollari al barile. Questo per evidenziare che sull’andamento dei prezzi del petrolio sono tanti i fattori che sono coinvolti. Tra gli ultimi in ordine di tempo c’è da segnalare l’aumento registrato quando Russia ed Arabia Saudita hanno deciso di tagliare la produzione. Se il conflitto tra Israele ed Hamas dovesse estendersi oltre le zone attualmente coinvolte e divenire un conflitto regionale ci potrebbero essere problemi da un punto di vista anche economico. Se, ad esempio, l’Iran dovesse entrare in scena con il rischio di diminuire la produzione di petrolio e parallelamente l’Arabia non fosse in gradi di compensare ci sarebbe la possibilità di un rialzo sul petrolio. C’è poi il capitolo del gas che è un argomento a parte. Infatti se dalle aree mediorientali le forniture non sono particolarmente importanti si è registrato un aumento maggiore delle quotazioni con rincari anche del 12% che l’anno portato a 43 dollari al mega wattora a 55 anche se siamo ancora lontani dai 240 raggiunti nel 2022 sempre in occasione della guerra in Ucraina. Sulla produzione e sugli stoccaggi non ci sono problemi per l’Europa grazie alla copertura delle scorte che è arrivata al 97% della capacità di stoccaggio (dati diffusi dall’Associazione europea dei gestori delle reti di gas). Il problema principale, in realtà sono 2. Il primo è che il mercato del gas è un mercato unico i cui prezzi si basano sul TTF di Amsterdam e sono molto suscettibili a variazioni. Il secondo è che attualmente il 37% del gas lo prendiamo dall’Algeria, uno dei paesi più critici nei confronti di Israele ed in caso di allargamento del conflitto è un altro dei fattori da considerare».
In queste ore si è abbattuta sui consumatori un’altra possibile tegola: lo stop al gasdotto Finlandia-Estonia. Considerando anche questo fronte quali potrebbero essere le prime conseguenze sulle bollette?
«Secondo i dati di Assoutenti se ipoteticamente le tariffe dovessero aumentare in media del 15%, sia per l’elettricità che per il gas, le bollette dell’energia elettrica potrebbero registrare un aumento di 115 euro annui per famiglia (da ricordare che hanno già registrato un aumento del 18,6% nel quarto trimestre) mentre per il gas si parla di un aumento di 199 euro all’anno, il che porterebbe ad un incremento totale di 314 euro per nucleo familiare».
In un frangente simile, caratterizzato dal pericolo dell’aumento dei prezzi sul medio-lungo periodo, impossibile non pensare alle banche centrali e alle politiche monetarie. Quali sono le sue previsioni
«Partendo dal fatto che le decisioni delle banche centrali arriveranno sulla base dell’esame dei dati macroeconomici è impossibile fare previsioni. A questo si aggiungono anche le crisi geopolitiche e macroeconomiche. Secondo gli strumenti di Investing.com per il monitoraggio del tasso della Federal Reserve, i mercati si aspettano, per il 90% che i tassi, nella prossima riunione di novembre, rimangano invariati e quindi tra il 5,25-5,50%. Una percezione in aumento rispetto alla settimana scorsa quando il monitor sui tassi segnalava il 60% degli analisti credeva in una pausa mentre il restante 40% era propenso verso un rialzo di 25 punti base. I dati macroeconomici, gli stessi che, come detto, saranno alla base delle decisioni della Fed, continuano a modificarsi. Per questo motivo sarà necessario monitorare i dati del mercato del lavoro. Probabilmente la pausa di novembre potrebbe rappresentare una strategia attendista per controllare meglio l’andamento dell’inflazione. Quest’ultima, infatti, considerando le ultime rilevazioni, è ancora al di sopra delle attese mentre il mercato del lavoro non sta inviando chiari segnali di raffreddamento. In questo caso, quindi, se non dovessero esserci segnali di ammorbidimento da entrambi questi fronti allora dicembre potrebbe essere l’occasione buona per un altro rialzo.
Per quanto riguarda la BCE, i verbali dell’ultima riunione dimostrano che i banchieri erano indecisi sulla decisione da prendere. Alla fine, però, hanno optato per un altro rialzo di 25 punti base. La previsione, però, è che già dalla prossima ci si prenderà una pausa per poi lasciare i tassi agli attuali livelli per qualche tempo. Infatti aumenta il numero dei banchieri preoccupati per il rallentamento dell’economia e perciò è facile pensare che, come detto da più parti, si possano avere tassi di interesse più alti e più a lungo».
Ciò che resta difficile da prevedere, conclude Bergonzi, è il prossimo andamento dell’inflazione. Cosa faranno le banche centrali se, in uno scenario del tutto ipotetico, l’inflazione dovesse mantenersi alta, spinta dagli energetici in rialzo a causa di un allargarsi del conflitto, e i tassi, come appena detto, restare sotto pressione come ora?