Secondo quanto reso noto dall’Istat l’Italia ha chiuso il 2023 con un deficit pari al 7,4% del Pil. Con un peggioramento dello 0,2% rispetto al precedente 7,2% ma in miglioramento se si guarda all’8,6% del 2022. Ma la revisione Istat “non incide sulle previsioni contenute nel Def, in quanto già scontate nel profilo del livello del debito in percentuale sul Pil” come confermato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in audizione sul Def.
Un risultato, quello italiano, che è il peggiore di tutta l’Unione Europea. Infatti al secondo posto si trova l’Ungheria (6,7%) e al terzo la Romania (6,6%). Buone notizie invece, sul fronte del debito pubblico che arriva a scendere al 137,3% del Pil alla fine del quarto trimestre 2023 contro il 137,9% del terzo trimestre ed al 140,5% del 2022.
«Nel delineare il quadro macroeconomico tendenziale dell’economia italiana del Def, il governo ha dovuto tener conto delle possibili ripercussioni del complesso contesto geopolitico, improntando le previsioni a principi di cautela e prudenza». Inoltre, ha specificato Girogetti, l’aggiornamento delle stime di crescita “non ha considerato proiezioni più favorevoli”, mentre “si è ritenuto di considerare con maggiore attenzione l’impatto economico dei conflitti in atto, come quello in Ucraina, nonché le crescenti tensioni e i rischi di escalation in Medio Oriente”.
«L’incertezza e la volatilità che da tempo caratterizzano lo scenario internazionale non accennano a diminuire. Le tensioni geopolitiche che si vanno accumulando pongono, infatti, rischi elevati per le prospettive di crescita di medio periodo». «In questo contesto, ogni esercizio di previsione, per quanto accurato e basato su ipotesi improntate alla massima cautela, potrebbe pertanto essere superato dagli eventi».
«L’aggiustamento – ha continuato Giorgetti – è pienamente alla nostra portata. La riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il Pil nel medio periodo è un obiettivo fondamentale, che deve essere realizzata in modo da consentire che l’Italia possa continuare a produrre ricchezza in un contesto che permetta, al contempo, di salvaguardare l’inclusione sociale»