Il viaggio all’interno del variegato mondo dei BRICS di Business24 ed eToro continua con uno sguardo ad un’economia ancora poco nota, quella del Kazakistan. Un’economia che potrebbe trovare il punto di svolta proprio nella sua alleanza con i BRICS. Ad illustrarne le dinamiche è Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Dal 1 gennaio di quest’anno il Kazakistan è partner dei Brics. Quali sono i vantaggi che la nazione asiatica potrà vantare da questa alleanza?
«Anche il Kazakistan è diventato ufficialmente uno Stato partner dei Brics, a partire da quest’anno e insieme ad altri otto Paesi in via di sviluppo, come confermato dal portavoce del ministero degli Esteri kazako Aibek Smadiyarov. Questa mossa, benché apra indubbiamente nuove opportunità, solleva anche interrogativi sulle implicazioni politiche ed economiche di questa alleanza. Sebbene il Paese abbia ufficialmente assunto il ruolo di partner, infatti, ha più volte ribadito l’intenzione di mantenersi prudente rispetto a un’eventuale adesione formale al blocco. Tra i potenziali benefici che potrebbero derivare da quest’alleanza, il primo è senz’altro di natura economica. Il partenariato consente infatti ad Astana di accedere a un mercato sempre più ampio e influente, che rappresenta oltre il 40% della popolazione mondiale e occupa una quota significativa del PIL globale. In linea generale, si aprono opportunità interessanti per il Paese di espandere i rapporti commerciali e attrarre investimenti esteri in settori chiave: energia, infrastrutture e innovazione tecnologica. Sul piano geopolitico, le implicazioni potrebbero essere più delicate, ed essere partner dei BRICS rappresenta un’occasione per il Kazakistan di ampliare il proprio peso strategico. In un contesto internazionale segnato da conflitti e rivalità tra grandi potenze, il Paese dovrà continuare a bilanciare le sue relazioni con attori di rilievo come la Russia e la Cina, mantenendo al contempo un dialogo costruttivo con l’Occidente; la scelta di non aderire formalmente al blocco, in definitiva, potrebbe riflettere la volontà di non compromettere questa flessibilità. Piuttosto, il Kazakistan ha sottolineato il suo impegno a rafforzare il suo ruolo di partner stretto dei BRICS. D’altra parte, il legame con i BRICS consente al Paese di partecipare a una piattaforma di cooperazione multilaterale che potrebbe rafforzare la sua posizione negoziale e offrire supporto nei forum internazionali. In questo senso, il ruolo di partner stretto sembra essere una scelta pragmatica, che permette di sfruttare i vantaggi dell’alleanza senza vincolarsi troppo strettamente a un’agenda che potrebbe entrare in conflitto con altri interessi nazionali».
Il Kazakistan è la prima economia dell’Asia centrale, nonché il più importante produttore ed esportatore di petrolio (vanta il 60% delle risorse minerarie dell’ex Unione Sovietica). Questa apparente forza potrebbe rivelarsi un punto debole?
«Dipende sempre dalle prospettive. La leadership kazaka nella produzione ed esportazione di petrolio rappresenta indubbiamente una forza economica significativa; tuttavia, la dipendenza del Paese dalle risorse naturali lo espone a una serie di vulnerabilità intrinseche, tra cui il rischio di rimanere intrappolato nella cosiddetta “trappola delle risorse”. Poiché il petrolio incide per più del 45% sulle entrate da esportazione, Astana, capitale dello Stato membro dell’OPEC+, dipende in misura sostanziale dall’evoluzione dei prezzi e della produzione della commodity: ciò rende il Paese vulnerabile a fattori esterni come le fluttuazioni dei prezzi globali, la domanda internazionale e le dinamiche geopolitiche. Nel 2024, il Kazakistan ha ridimensionato le sue previsioni di produzione petrolifera a 88,4 milioni di tonnellate (circa 1,77 milioni di barili al giorno), rispetto agli iniziali 90,3 milioni di tonnellate, a causa di interventi di manutenzione straordinaria nei principali giacimenti di Tengiz e Kashagan, nonché di problemi tecnici a Karachaganak e presso l’impianto di trattamento del gas di Orenburg. Questo ha coinciso con una fase di ribasso dei prezzi del petrolio, che da un picco di 93 dollari al barile ad aprile sono scesi a 76,12 dollari a novembre, ben al di sotto del punto di pareggio fiscale per molti produttori, aggravando la pressione sulle finanze statali. Inoltre, gli obblighi imposti dall’accordo OPEC+ limitano la flessibilità del Paese nella gestione della propria produzione, con il rischio di creare attriti interni al cartello. Sebbene Astana abbia cercato di rispettare i suoi impegni, ha talvolta ecceduto le quote di produzione stabilite, sollevando critiche ed essendo quindi obbligata a compensare con tagli successivi. In definitiva, è vero che la situazione è complessa e che l’abbondanza di petrolio andrebbe valutata su entrambi i lati della medaglia. Per limitare i rischi associati alla dipendenza da questa commodity, il governo kazako ha già avviato iniziative di diversificazione economica, con il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha che delineato un piano economico incentrato sull’industrializzazione, la transizione verso energie verdi e la semplificazione del sistema fiscale.»
Oltre al petrolio e, più in generale, un forte settore primario, quali sono le altre voci che reggono l’economia nazionale?
«Per l’economia del Kazakistan, che si distingue come la più grande dell’Asia centrale pur non avendo soddisfatto appieno le aspettative di crescita nel 2024, i principali motori di supporto includono settori come l’industria manifatturiera, l’edilizia, i trasporti e l’agricoltura. Questi ambiti, nei quali stanno convergendo gli sforzi del Paese per una maggiore diversificazione, erano stati indicati dall’ex Ministro dell’Economia Nazionale, Nurlan Baibazarov, come le leve principali per stimolare l’economia, che tuttavia non ha brillato per via di difficoltà legate alla volatilità dei mercati globali e al calo della produzione petrolifera, che ha posto ulteriore pressione sulle finanze pubbliche. Per Astana, il comparto manifatturiero continua a svolgere un ruolo chiave: il Paese è infatti un importante produttore di metalli, attrezzature industriali e prodotti chimici, grazie alla sua ricca disponibilità di risorse minerarie. Accanto a questo settore, che si sta rivelando fondamentale per diversificare l’economia e ridurre la dipendenza dal petrolio, quello dell’edilizia è un altro ramo in espansione, grazie a importanti e ambiziosi progetti infrastrutturali concentrati soprattutto nelle città più grandi e incentrati sull’urbanizzazione e lo sviluppo delle reti di trasporto. In questo senso, anche il settore dei trasporti è cruciale per il Paese, e non solo in ottica interna, ma anche per il suo ruolo strategico come crocevia tra Europa e Asia. Nello specifico, il Kazakistan sta lavorando per espandere le proprie capacità logistiche, con un focus particolare sull’aumento delle esportazioni attraverso il corridoio Baku-Tbilisi-Ceyhan, che diventa sempre più rilevante per il commercio internazionale di commodities e, in particolare, di petrolio e gas naturale. L’agricoltura, infine, storicamente un pilastro dell’economia kazaka, resta fondamentale, forte di coltivazioni estensive di grano, cotone, frutta e verdura. A queste si aggiunge un’industria zootecnica ben sviluppata, che beneficia dei vasti territori destinati al pascolo nel Paese. A contrastare il progresso del settore, tuttavia, contribuiscono le sfide sempre più urgenti legate ai cambiamenti climatici e alla modernizzazione tecnologica, in particolare per quanto riguarda l’irrigazione e la gestione delle risorse naturali».
Sebbene il Kazakistan sia una Repubblica semipresidenziale, in molti tendono ad associare il Paese a una dittatura. Partendo da questo presupposto, quali conseguenze si possono prevedere sul fronte dei rapporti internazionali e degli investitori esteri?
«Il Kazakistan, pur essendo spesso classificato come un Paese di stampo autoritario, ha saputo adottare un approccio multivettoriale, specialmente in politica estera, che gli ha permesso di mantenere relazioni diplomatiche equilibrate con diverse potenze globali: la Russia, in primis, ma anche la Cina e l’Unione Europea. Innanzitutto, lo storico e privilegiato rapporto del Paese con la Russia, è consolidato da una profonda interdipendenza economica, soprattutto nel comparto dell’energia e nelle infrastrutture. A seguito del conflitto russo-ucraino, il Kazakistan ha adottato un atteggiamento strategico di neutralità, traendo vantaggio dal riassetto delle relazioni tra Russia e Occidente, con un incremento degli scambi commerciali. Tuttavia, gli equilibri tra Astana e Mosca restano caratterizzati da una marcata asimmetria, e la dipendenza dalle infrastrutture russe, come il Caspian Pipeline Consortium, espone il Paese a dinamiche di vulnerabilità. Accanto a ciò, il Kazakistan ha anche sviluppato un forte rapporto con la Cina, ad oggi uno dei suoi principali partner economici del Paese, con una crescita dei commerci bilaterali accompagnata dall’aumento degli investimenti cinesi. La posizione geografica del Kazakistan, come ponte tra Asia ed Europa, lo rende un nodo cruciale per i corridoi di trasporto terrestre promossi dalla Cina, inclusi i progetti della Belt and Road Initiative. Sul fronte occidentale, il Kazakistan ha rafforzato i propri legami anche con l’Unione Europea: Astana intrattiene ottimi rapporti con Bruxelles, che si sono consolidati attraverso l’Enhanced Partnership and Cooperation Agreement, un accordo entrato in vigore nel 2020 e indirizzato a diversi settori, dall’energia alla cooperazione commerciale e ai diritti umani. Nel complesso, quindi la politica estera multivettoriale del Kazakistan, pur non essendo priva di complessità (tanto interne quanto esterne), ha consentito al Paese di preservare la propria sovranità e di mantenere una posizione centrale nell’equilibrio geopolitico dell’Asia Centrale. Le sfide per gli investitori esteri sono legate alla stabilità politica e alle incertezze regionali, ma il Paese sta comunque cercando di attrarre investimenti per consolidare la propria posizione economica e politica, e le due aree – energia e infrastrutture – si confermano particolarmente strategiche. Tuttavia, la natura autoritaria del governo può sollevare preoccupazioni tra gli investitori esteri, specialmente quelli provenienti da Paesi con una forte enfasi sulla democrazia e i diritti umani. Questioni legate alla trasparenza, alla corruzione e alla prevedibilità del sistema legale possono rappresentare ostacoli significativi. Nonostante gli sforzi per migliorare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale e creare un ambiente più favorevole agli affari, permangono sfide che potrebbero influenzare negativamente la fiducia degli investitori».