
Il paper: “Non ci sono precedenti successivi al 1950 di una disinflazione consistente che non abbia comportato un sacrificio economico sostanziale o una recessione”. Le risposte di Jefferson, Mester e Collins
Secondo una ricerca, la Federal Reserve non può continuare ad alzare i tassi di interesse e sconfiggere la peggiore inflazione degli ultimi 40 anni senza causare una recessione.
Le conclusioni del paper evidenziano che una tale “disinflazione immacolata” non è mai avvenuta prima. Tre funzionari della Fed hanno affrontato le sue conclusioni nei loro interventi di venerdì a una conferenza sulla politica monetaria a New York.
Quando l’inflazione sale, come negli ultimi due anni, la Fed risponde di solito alzando i tassi di interesse, spesso in modo aggressivo, per cercare di raffreddare l’economia e rallentare l’aumento dei prezzi. Questi tassi più alti, a loro volta, rendono più costosi i mutui, i prestiti auto, le carte di credito e i prestiti alle imprese. Ma a volte le pressioni inflazionistiche si rivelano ancora persistenti e richiedono tassi sempre più alti per essere domate.
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Il risultato – prestiti sempre più costosi – può costringere le aziende a cancellare nuove iniziative e a tagliare posti di lavoro e i consumatori a ridurre le spese. Tutto ciò si traduce in una ricetta per la recessione. E questo, conclude la ricerca, è proprio quello che è successo nei precedenti periodi di alta inflazione. I ricercatori hanno esaminato 16 episodi dal 1950 in cui una banca centrale come la Fed ha aumentato il costo dei prestiti per combattere l’inflazione, negli Stati Uniti, in Canada, in Germania e nel Regno Unito. In tutti i casi si è verificata una recessione.
“Non ci sono precedenti successivi al 1950 di una disinflazione consistente che non abbia comportato un sacrificio economico sostanziale o una recessione”, conclude il documento, scritto da un gruppo di economisti, tra cui: Stephen Cecchetti, professore alla Brandeis University ed ex direttore di ricerca della Federal Reserve Bank di New York; Michael Feroli, capo economista statunitense di JPMorgan ed ex membro della Fed; Peter Hooper, vicepresidente della ricerca della Deutsche Bank e Frederic Mishkin, ex governatore della Federal Reserve.
Il documento coincide con una crescente consapevolezza nei mercati finanziari e tra gli economisti che la Fed dovrà probabilmente aumentare i tassi di interesse anche più di quanto stimato in precedenza. Nell’ultimo anno, la Fed ha aumentato il suo tasso di riferimento a breve termine otto volte.
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La percezione che la banca centrale dovrà continuare ad aumentare i costi di finanziamento è stata rafforzata da un rapporto governativo di venerdì, secondo il quale l’indicatore dell’inflazione preferito dalla Fed ha accelerato a gennaio dopo diversi mesi di calo. I prezzi sono aumentati dello 0,6% da dicembre a gennaio, il maggiore incremento mensile da giugno. L’ultima prova dell’accelerazione dei prezzi rende più probabile che la Fed debba fare di più per sconfiggere l’alta inflazione.
Tuttavia, Philip Jefferson, membro del Consiglio dei Governatori della Fed, ha espresso le sue osservazioni venerdì alla conferenza di politica monetaria, che suggeriscono che una recessione potrebbe non essere inevitabile, un’opinione espressa anche dal presidente della Fed Jerome Powell.
Jefferson ha minimizzato il ruolo dei passati episodi di inflazione, osservando che la pandemia ha talmente sconvolto l’economia che questa volta i modelli storici sono meno affidabili come guida. “La storia è utile, ma non può dirci molto, soprattutto in situazioni senza precedenti storici”, ha affermato Jefferson.
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Intervenendo alla conferenza di venerdì, Loretta Mester, presidente della Federal Reserve Bank di Cleveland, si è avvicinata all’accettazione dei risultati del documento. Ha detto che le sue conclusioni, insieme ad altre ricerche recenti, “suggeriscono che l’inflazione potrebbe essere più persistente di quanto attualmente previsto”. “Ritengo che i rischi per le previsioni d’inflazione siano inclinati verso l’alto e che i costi di un’inflazione ancora elevata siano significativi”, ha affermato la presidente in un discorso preparato per la conferenza.
Un’altra relatrice, Susan Collins, presidente della Fed di Boston, ha espresso la speranza che si possa evitare una recessione anche se la Fed cerca di sconfiggere l’inflazione con tassi più alti. La Collins ha dichiarato di essere “ottimista sulla possibilità di ripristinare la stabilità dei prezzi senza una significativa recessione”. Ha aggiunto, però, di essere “ben consapevole dei molti rischi e delle incertezze” che circondano l’economia. Tuttavia, Collins ha anche suggerito che la Fed dovrà continuare a stringere il credito e a mantenere i tassi più alti “per un certo periodo, forse prolungato”.
Alcuni rapporti economici sorprendentemente forti il mese scorso hanno suggerito che l’economia è più resistente di quanto sembrasse alla fine dell’anno scorso. Questi segnali di tenuta hanno fatto sperare che una recessione possa essere evitata anche se la Fed continuerà a stringere il credito e a rendere sempre più costosi i mutui, i prestiti auto, i prestiti con carta di credito e molti prestiti aziendali.
Il problema è che anche l’inflazione sta rallentando in modo più graduale e irregolare di quanto sembrasse l’anno scorso. Queste tendenze aumentano la possibilità che i responsabili politici della Fed decidano di alzare i tassi più di quanto previsto in precedenza e di mantenerli più a lungo per cercare di riportare l’inflazione all’obiettivo del 2%. Ciò renderebbe più probabile una recessione nel corso dell’anno.
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(foto ANSA)